Che cosa è una classe dirigente? Come si forma? Attraverso quali studi, quali percorsi di partecipazione, di impegno sociale e politico emerge? Come viene selezionata e per quali obiettivi? Sono interrogativi che in particolare in questi giorni tornano a farsi pressanti in modo drammatico. Siano davanti ad una crisi epocale, – iniziata come sanitaria, diventata economica e ora nel suo vortice sarà sociale e occupazionale -, e gli interrogativi da chi siamo guidati, tornano di attualità, perché senza una classe dirigente all’altezza in politica, come in altri settori strategici dello Stato e della società, il rischio che il Paese finisca contro gli scogli sfasciandosi è reale. Oggi constatiamo che in ogni settore c’è un pericoloso vuoto di idee, di coesione, di iniziativa univoca, di direzione di marcia e di idee progettuali durature.
Siamo di fronte a una caduta di qualità e di professionalità che lascia sgomenti, sì perché la politica, le istituzioni democratiche e liberali richiedono una professionalità di alta levatura, quell’impegno libero aperto, civile, di collaborazione e dedizione, unica verso il Paese. Oggi, invece, siamo alle prese con una superficialità disarmante, alla mancanza di studio, di capacità, di spirito di collaborazione che porteranno il Paese a pagare costi eccezionali e dolorosi. Perché questo caduta? L’Italia infatti, ha avuto una classe dirigente che ha saputo portare il Paese a primeggiare a livello mondiale in numerosi settori dall’economista, alla ricerca, alla cultura, allo sport, alla moda, all’innovazione tecnologica. Campi dove il Paese poteva annoverare a livello internazionale personalità che guidavano settori strategici dell’economia, dello Stato e lo stesso Governo così come, va riconosciuto, le opposizioni che avevano la capacità, un impegno e un grande senso dello Stato.
Una genesi e una stagione rivoluzionaria fatta di uomini e di idee che si sono affermate nel dopo guerra che ha dato frutti per 40 anni. Fa piacere che un grande filosofo come Gianni Vattimo (esponente di sinistra ed ex euro parlamentare) sulle colonne del Fatto Quotidiano abbia ricordato che ….“Nella Dc non sono sempre stati ‘piccoli, storti e malfatti’ – come si diceva illo tempore giocando sui cognomi di alcuni notabili del partito”; anzi, la stessa diede all’Italia fior di statisti e anche di manager uno fra tutti Enrico Mattei che segnarono in modo particolare i difficili anni della ricostruzione postbellica… C’erano infatti uomini nei diversi schieramenti, oltre alla Democrazia Cristiana, a sinistra così come nella destra di tradizione Liberale, personalità di spicco sotto il profilo dell’impegno istituzionale, del rispetto delle regole, della costruzione di grandi ideali di pace, sviluppo, progresso e dialogo.
Capacità titaniche per il sacrificio e la visione delle cose da realizzare in concreto per il bene del Paese. Oggi non possiamo di certo dire la stessa cosa, assistiamo impotenti a una involuzione, alla ricerca costante della vanagloria del capo che impone e decide lui chi far emergere in politica e nella istituzioni in base ad obiettivi esclusivamente personali o di corrente – questione che nei fatti di cronaca vediamo che non riguarda solo la politica ma tocca settori diversi, come l’autonomia della magistratura che è scivolata sui mali del carrierismo secondo l’appartenenza a correnti più che al merito -. Il sistema di potere dei cosiddetti “leader” sta mostrando tutti i suoi limiti, logorato da tornaconti e calcoli elettorali, da scelte limitate al consenso semplice e immediato.
Addirittura le decisioni sono quelle che emergono dai sondaggi in una inversione della strategia politica e istituzionale, non più affidata ad una classe dirigente ma agli “algoritmi” il cui senso è solo un adeguarsi alle ondivaghe pulsioni della massa. In questo marasma di contraddizioni e azioni contrastanti anche l’impegno del premier Giuseppe Conte di portare in salvo una Italia in così grave affanno, viene distorto e disorientato, perché sfideremmo qualsiasi altro leader, prestigioso e autorevole, a mettere ordine in un contesto politico dove le azioni più irresponsabili, e i protagonismi più esasperati hanno la meglio su progetti e azioni ordinate di impegno di governo. C’è un solo antidoto alla superficialità e alla incompetenza il ritorno dei partiti in politica. La loro presenza formativa, di selezione di chi dovrà avere un ruolo, che sia Consigliere Comunale di un piccolo paese o che sia parlamentare o ministro. Questo vale anche per la sfera pubblica.
I partiti hanno assicurato nei gangli del potete personalità di rigore e impegno assoluto. Dai partiti sono venute fuori visioni di cambiamento ideologico, sociali, di riforme epocali. In altre parole di benessere collettivo e individuale. È il momento di ripensare la politica e la sua organizzazione. Basta con le improvvisazioni capricciose dei leader che vivono alla giornata, nello spazio di un sondaggio e l’altro, c’è una urgente necessità per i cittadini, per l’intero sistema produttivo e sociale, di una visione di una classe dirigente capace di confrontarsi nel merito delle questioni per poi decidere. Gli italiani meritano di più, meritano scelte responsabili e lungimiranti, fatte per il bene della Nazione e non per le nomenclature dei leader e delle loro cortigianerie.