Il presidente siriano Ahmad al-Sharaa è stato accolto alla Casa Bianca da Donald Trump, segnando la prima visita ufficiale di un capo di Stato siriano negli Stati Uniti dal 1946. L’incontro, avvenuto l’8 novembre, rappresenta una svolta diplomatica storica e un successo strategico per l’amministrazione Trump, che ha scelto di aprire un canale diretto con il nuovo leader siriano, salito al potere dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad. Al-Sharaa, ex comandante delle forze ribelli, è stato recentemente rimosso dalla lista dei ricercati internazionali. Trump ha elogiato il presidente siriano per “aver riportato ordine in una regione devastata dal caos e dal terrorismo”, sottolineando la volontà comune di “costruire una nuova alleanza contro l’estremismo islamico”. Tra i temi discussi, l’ingresso della Siria nella coalizione anti-Isis, la revoca delle sanzioni economiche e la ricostruzione post-bellica. La visita ha suscitato reazioni contrastanti: mentre alcuni analisti parlano di una mossa audace e lungimirante, altri sollevano dubbi sul passato controverso di al-Sharaa, che in passato aveva legami con gruppi jihadisti. Ma per Trump, il pragmatismo ha prevalso. “Non mi interessa chi era ieri, mi interessa chi è oggi e cosa può fare per la pace”, ha dichiarato il presidente americano, ribadendo la sua dottrina del realismo strategico. L’incontro è stato seguito da una conferenza stampa congiunta, in cui al-Sharaa ha ringraziato gli Stati Uniti per “aver aperto le porte al dialogo” e ha promesso “una Siria nuova, libera e cooperativa”. La visita ha anche un forte valore simbolico: dopo decenni di isolamento, la Siria torna a dialogare con Washington, e lo fa sotto l’egida di un presidente americano che ha dimostrato di saper rompere gli schemi della diplomazia tradizionale. Per Trump, è l’ennesima conferma della sua capacità di trasformare nemici in interlocutori e di riportare gli Stati Uniti al centro della scena globale.



