La Corte Suprema di Giustizia della Bolivia ha annullato la condanna a 10 anni di carcere inflitta all’ex presidente Jeanine Áñez, ordinandone il rilascio immediato. La decisione, resa pubblica il 5 novembre, ha provocato forti reazioni nel Paese, dove molti ricordano il suo ruolo nella repressione delle proteste del 2019, che causarono decine di morti e centinaia di feriti. Secondo il presidente della Corte, Romer Saucedo, la sentenza è stata dichiarata “nulla e priva di effetto” perché basata su “un’applicazione retroattiva di una legge modificata” durante il processo. Áñez era stata giudicata colpevole di violazione delle norme costituzionali per essersi insediata come presidente ad interim dopo le dimissioni forzate di Evo Morales, in un contesto di grave instabilità politica. Durante il suo mandato, Áñez supervisionò l’intervento delle forze armate contro i manifestanti, in particolare nelle città di Sacaba e Senkata, dove si registrarono le vittime più numerose. Le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Human Rights Watch e Amnesty International, avevano definito quegli episodi “massacri” e chiesto indagini indipendenti. La liberazione ha riacceso le tensioni politiche in Bolivia, dove il presidente eletto Rodrigo Paz si prepara all’investitura. Alcuni gruppi di attivisti hanno organizzato manifestazioni di protesta a La Paz e Cochabamba, chiedendo giustizia per le vittime del 2019. “La memoria non si cancella con una sentenza,” ha dichiarato la leader del collettivo Madres de Senkata, che riunisce familiari delle vittime. Áñez, che era in custodia cautelare dal 2021, ha lasciato il carcere di Miraflores accompagnata dai suoi avvocati, dichiarando di voler “tornare alla vita civile” e di “non aver mai ordinato violenze contro il popolo boliviano”.



