Il rinnovo dei contratti come banco di prova per la pubblica amministrazione
All’Aran si è riaperto il confronto sul contratto del comparto Istruzione, Università e Ricerca. Dopo mesi di trattative, si punta a chiudere il CCNL 2022–2024 e ad avviare il negoziato per il successivo triennio 2025–2027. Gli aumenti previsti oscillano tra i 100 e i 180 euro lordi mensili, con punte fino a 300 euro nel caso di un doppio rinnovo ravvicinato. La legge di bilancio ha già stanziato le risorse necessarie: 122 milioni per il 2025, 189 per il 2026 e 75 per il 2027. Tuttavia, il potere d’acquisto reale dei dipendenti pubblici, soprattutto nella scuola, resta compromesso da un’inflazione che tra il 2021 e il 2024 ha superato il 17%.
Incrementi contenuti, ma un segnale di stabilità
Secondo le proiezioni dell’Anief, per il triennio 2025–2027 è previsto un incremento medio del 5,4%, pari a circa 142 euro per i docenti e 104 per il personale ATA. È un risultato frutto della continuità di governo e della prudenza finanziaria dell’Esecutivo, che ha scelto di mantenere la sostenibilità dei conti pubblici pur garantendo un adeguamento salariale. Non siamo di fronte a cifre risolutive, ma a un segnale politico importante: lo Stato torna ad assumersi la responsabilità di dare certezze retributive ai suoi lavoratori, dopo anni di blocchi contrattuali e rinnovi firmati in ritardo.
Docenti e ATA: due categorie dimenticate ma essenziali
Il mondo della scuola resta diviso tra insegnanti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario, ma accomunato dalla stessa precarietà. Un collaboratore scolastico guadagna in media poco più di 1.100 euro netti, mentre un docente con vent’anni di servizio raramente supera i 2.000. Sono stipendi che non riflettono il valore delle funzioni svolte né la complessità del sistema scolastico post-pandemico. Il rinnovo contrattuale riconosce finalmente un piccolo passo avanti, ma senza una vera politica di valorizzazione del personale la scuola pubblica continuerà a reggersi sulla dedizione, non sul merito.
Meritocrazia e responsabilità: la sfida mancata
Il tema non è solo economico ma culturale. Da troppi anni l’Italia tratta la scuola come un centro di spesa e non come un investimento strategico. Occorre un cambio di rotta: introdurre premi legati ai risultati, incentivare la formazione continua, differenziare le retribuzioni in base al merito e alla qualità del servizio. Il centrodestra ha l’occasione di rompere un tabù ideologico e avviare una vera riforma del pubblico impiego educativo, fondata su responsabilità e produttività.
Una modernizzazione necessaria
Il rinnovo del contratto rappresenta un primo passo verso una Pubblica amministrazione più efficiente, ma non basta. Senza una riforma strutturale che premi chi lavora bene e riduca sprechi e burocrazia, gli aumenti rischiano di restare un semplice palliativo. Valorizzare la scuola, l’università e la ricerca significa investire nel futuro produttivo della Nazione: meno rivendicazioni ideologiche, più efficienza e più merito. Solo così il Paese potrà tornare competitivo, anche sul piano educativo.



