Le uniche due cose sicure sono l’annuncio in pompa magna degli Stati generali dell’economia e il fatto che si terranno a Roma, nella prestigiosa e bucolica villa Pamphili, ormai degradata dall’incuria dell’amministrazione-Raggi (fa ancora notizia l’uso inutile delle pecore per tagliare l’erba, al posto degli operai latitanti). Villa, tra l’altro, rimasta agli annali, quando ospitò l’allora leader libico Gheddafi.
Un appuntamento che fu purtroppo presagio di lutto, visto il seguito che ebbe l’incontro con Berlusconi (fu lo stesso capo del governo italiano a partecipare alla guerra franco-americana che comportò la fine della Repubblica socialista islamica, nostra ex-colonia e del suo Timoniere).
La stessa cosa accadrà adesso? Se il premier Conte ha concepito questa iniziativa per allungare il brodo indigeribile del suo governo, non potendo allungare il brodo dell’emergenza sanitaria (visto lo spegnersi del virus), gli Stati generali potrebbero rivelarsi un clamoroso autogol, l’inizio della fine dell’esperienza giallorossa.
E infatti, l’annuncio mediatico dell’evento ha già creato violente e ostili reazioni interne all’esecutivo. È apparsa sempre di più come in effetti è: una strategia per garantirsi il futuro.
I dem non hanno gradito la dichiarazione unilaterale senza essere coinvolti direttamente. In pratica, sono stati messi di fronte al fatto compiuto.
Il senatore Marcucci soltanto ieri ha tuonato contro il dirigismo autocentrato e autoreferenziale di Palazzo Chigi: “A Conte dico che sbagliare è un lusso che non possiamo permetterci”. Più chiaro di così. Non è soltanto una questione di metodo, di condivisione di processi, ma di contenuti.
Se l’ambiguità, la confusione e l’astrattezza hanno caratterizzato l’esposizione mediatica durante la Fase-1 e 2, la ripartenza economica, non potrà essere all’insegna dei medesimi errori.
Il dossier- Colao, come noto, sarà il materiale di Conte. E verterà su semplificazione, infrastrutture, incentivi e Alta Velocità. Ma sono unicamente ricette tecniche (tecnologiche). Manca una visione di società.
E gli invitati blasonati, al momento resi noti alla stampa, Renzo Piano, Massimiliano Fuksas, Stefano Boeri, Oscar Farinetti, sembrano un mix tra la Bolognina e l’ennesima Leopolda.
Infine, i tempi. A Conte basterebbero tre giorni di ricette, in perfetto stile-Casalino; al Pd almeno due o tre settimane, un periodo di ascolto, seguìto successivamente da un’altra kermesse di risposta.
Chi prevarrà? Se la costituente economica dovesse diventare un vulnus, allora riprenderebbe spazio l’exit strategy del premier (già studiata a tavolino): le suppletive sarde, il sindaco di Roma o il partito centrista.
Ipotesi fumose. Più degli Stati generali dell’economia. Tutto dire.
(Lo_Speciale)