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Piccole industrie, il motore dimenticato della crescita

Tra burocrazia, tasse e rincari, migliaia di microaziende chiudono ogni mese. Non servono fondi a pioggia ma politiche fiscali coraggiose e investimenti in innovazione per restituire competitività a chi produce e assume
domenica, 2 Novembre 2025
2 minuti di lettura

Rappresentano oltre il 92% del tessuto produttivo nazionale e danno lavoro a 16 milioni di persone ma non hanno incentivi e sostegni concreti

La crescita economica di un Paese si fonda e si misura sul piano della competitività su lavoro di qualità, imprese solide e investimenti in innovazione. Tuttavia, oggi in Italia, le Piccole industrie e le piccole attività – che rappresentano oltre il 92% del tessuto produttivo nazionale e danno lavoro a circa 16 milioni di persone – vivono una crisi silenziosa ma profonda.

Il peso di tasse e contributi

Per la maggior parte delle piccole aziende, la possibilità di investire in sviluppo è quasi nulla. Secondo i dati di Confartigianato, oltre il 60% dei ricavi viene assorbito da tasse, contributi e burocrazia. I margini operativi si riducono al minimo, e ciò impedisce di innovare, assumere personale qualificato o migliorare la competitività.

Grandi imprese piglia tutto

Se i piccoli non hanno possibilità di accedere a fondi e fare economie di scala, le grandi imprese, invece, continuano a beneficiare di fondi e incentivi statali, anche in caso di crisi aziendali. Per i piccoli imprenditori la realtà è opposta: aumenti del 30% nei costi energetici, rincari delle materie prime e salari da garantire in un mercato sempre più instabile. Costo del lavoro che spegne la possibilità di buste paghe più alte e remunerative e nuove assunzioni.

La desertificazione dei piccoli

Ogni mese, in Italia, oltre 4 mila microimprese chiudono i battenti, spesso per mancanza di liquidità. Parliamo di botteghe artigiane, piccole aziende agricole, laboratori, negozi di quartiere: realtà che non solo producono reddito, ma custodiscono identità, cultura e saper fare italiani.

Se il trend continuerà, il rischio è come sottolineano Confcommercio, Confesercenti, le Associazioni degli artigiani e degli agricoltori, la desertificazione produttiva: meno imprese significa meno lavoro, meno reddito e meno consumi, in un circolo vizioso che impoverisce territori e comunità. E sarà un danno crescente per gli introiti del sistema previdenziale.

Un piano straordinario

Non bastano incentivi “a pioggia” o bonus temporanei che sono dannosi ed episodici.

Serve un Piano Nazionale per la Piccola Impresa, con interventi mirati e strutturali. È necessaria una drastica riduzione del 50% e anche oltre, degli oneri sociali per chi assume a tempo indeterminato. Bisogna incentivare Crediti d’imposta per investimenti in innovazione e digitalizzazione. Su alcuni fronti prevedere una tassazione agevolata con ipotesi di una flat tax al 15%, per micro e piccole imprese sotto un certo fatturato. Tra le proposte fatte dalle Associazioni c’è da sostenere un Fondo di garanzia pubblico per l’accesso al credito e la liquidità. Nel contempo come insiste la Cna è necessaria una decisa semplificazione burocratica, con uno sportello unico digitale per imprese e artigiani. Con queste misure, lo Stato non “regalerebbe” risorse, ma libererebbe energie produttive oggi soffocate. Sarebbe una svolta utile al Paese e non solo alle imprese.

Dare sostegni e garanzie

Se il Governo riuscisse a bilanciare il rigore dei conti pubblici con politiche di sostegno coraggiose alle Pmi, il risultato sarebbe duplice: più occupazione di qualità e maggiore competitività del sistema Italia. Le associazioni di categoria – dal commercio all’artigianato, fino all’agricoltura – chiedono da anni la stessa cosa: meno burocrazia, meno tasse e più fiducia nel lavoro dei piccoli.

Rispetto per chi produce

L’Italia va ricordato così come le passate politiche nei Governi della allora Democrazia Cristiana, è sempre cresciuta grazie ai suoi artigiani, ai negozi di famiglia, ai piccoli imprenditori che ogni giorno si rimboccano le maniche. Oggi, o li si mette in condizione di resistere e innovare, oppure la ripresa economica per chi produce e fa fatica, resterà solo uno slogan.

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