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Israele bombarda ancora: morti a Gaza e in Libano. Hamas restituisce due corpi, ma la tregua vacilla

Gli ultraortodossi contro la leva militare
sabato, 1 Novembre 2025
3 minuti di lettura

A Gaza, come a Gerusalemme, la tensione resta altissima: la tregua, che doveva aprire uno spiraglio di pace, rischia di essere ricordata solo come una breve pausa tra due tempeste. Nelle ultime ventiquattr’ore nuovi bombardamenti israeliani hanno colpito diverse aree della Striscia di Gaza, causando almeno tre morti, mentre un raid nel sud del Libano ha ucciso un uomo e ferito un altro.

Secondo l’agenzia palestinese Wafa, le vittime nella Striscia sono state tre, in violazione del cessate il fuoco: tra loro il giovane Hamdi Ahmad Al-Breim, morto nel bombardamento della sua abitazione a Khan Younis, e Mohammad Salem Qudeih, deceduto per le ferite riportate in un precedente attacco a una tenda di sfollati.

Le forze israeliane, sempre secondo fonti locali, hanno fatto esplodere diverse abitazioni a est di Gaza City e di Khan Younis, mentre le unità navali hanno aperto il fuoco al largo della costa. Al Jazeerariporta inoltre che caccia israeliani hanno bombardato le città di Abasan al-Kabira e Bani Suheila, nel sud della Striscia, il giorno dopo un raid a Beit Lahia, nel nord, contro quello che l’Idf ha definito un “deposito di armi”.

Le Nazioni Unite hanno condannato con forza gli ultimi attacchi. “Il segretario generale deplora l’uccisione di civili, tra cui molti bambini”, ha dichiarato il portavoce Stephane Dujarric, ribadendo la necessità di un rigoroso rispetto del diritto internazionale umanitario.Hamas, intanto, ha consegnato le salme di due ostaggi israeliani: Amiram Cooper, economista, agricoltore e poeta tra i fondatori del kibbutz Nir Oz, e il venticinquenne Sahar Baruch. Entrambi erano stati rapiti il 7 ottobre. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha invitato le parti a “fare tutto il possibile per rispettare i propri impegni” e attuare pienamente il cessate il fuoco, ricordando che le Nazioni Unite non partecipano alla mediazione ma “incoraggiano i negoziatori a trovare soluzioni pratiche”.

Il ruolo degli Stati Uniti

Secondo Haaretz, anche gli Stati Uniti hanno espresso opposizione al piano elaborato da Israele e dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF) per la distribuzione degli aiuti nella Striscia. Il progetto prevedeva la creazione di 10-20 punti di consegna lungo la cosiddetta “Linea Gialla”, il confine temporaneo presidiato dalle Forze di Difesa Israeliane. Washington ritiene che il piano, già sostenuto dagli stessi funzionari che avevano promosso la GHF, sia inadeguato e rischi di ripetere le tragiche disfunzioni che avevano provocato la morte di numerosi palestinesi in fila per il cibo.

Un rapporto segreto del Dipartimento di Stato americano, rivelato dal Washington Post, sostiene inoltre che unità militari israeliane avrebbero commesso “centinaia di potenziali violazioni” dei diritti umani a Gaza. È la prima volta che un documento ufficiale statunitense riconosce la portata di possibili abusi israeliani in violazione delle leggi Leahy, che vietano l’assistenza militare a unità straniere coinvolte in gravi crimini. L’indagine, secondo il quotidiano, potrebbe durare anni. In questo quadro, Washington avrebbe proposto ai mediatori egiziani e qatarioti un piano per consentire ai militanti di Hamas di lasciare le zone di Gaza sotto controllo israeliano e spostarsi verso aree ancora gestite dal gruppo, con l’obiettivo di ridurre la presenza armata nelle aree centrali della Striscia e consolidare la fragile tregua.

Sul fronte diplomatico, si registra intanto una nuova frizione tra Washington e Tel Aviv: il segretario all’Energia Chris Wright ha cancellato la visita prevista in Israele dopo che il ministro Eli Cohen ha rifiutato di approvare l’accordo di esportazione del gas verso l’Egitto, insistendo su maggiori garanzie economiche per il proprio Paese.

La protesta degli ultraortodossi

Mentre l’esercito continua le operazioni, in Israele monta la protesta degli ebrei ultraortodossi contro la leva obbligatoria. Circa 200 mila persone hanno riempito ieri Gerusalemme per quella che è stata definita la “Marcia di un milione di uomini”. La manifestazione si è conclusa con la morte di un ragazzo di 15 anni, caduto da un grattacielo in costruzione su cui si era arrampicato durante la protesta. Gli scontri con la polizia hanno causato un ferito tra gli agenti e diversi giornalisti aggrediti. Ciononostante, la maggior parte dei partecipanti ha manifestato pacificamente, pregando e stendendo a terra i tallit con la scritta “È bello morire per la nostra fede”.

Siria: un ritorno alla normalità ancora lontano

Mentre il Medio Oriente resta in fiamme, in Siria, nella campagna di Idlib, centinaia di famiglie stanno tornando nei villaggi dopo anni di guerra. Ma a quasi un anno dalla caduta di Bashar al-Assad, centinaia di scuole restano distrutte e milioni di bambini non possono ancora studiare. Il lento ritorno alla normalità, raccontano le agenzie umanitarie, è ostacolato da povertà estrema e mancanza di infrastrutture.

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