L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute mentale “parte essenziale della salute generale di un individuo”. Ciononostante è l’ambito in cui gli investimenti sono particolarmente bassi, soprattutto nei confronti di bambini e ragazzi. Secondo l’OMS in Europa 1 bambino/adolescente su 3 che presenti difficoltà nelle capacità cognitive, emotive e comportamentali, come l’autismo, la dislessia, la DSA, i disturbi del linguaggio, l’ansia, la depressione, i disturbi dell’umore e i disturbi comportamentali solo per fare degli esempi, non riesce ad accedere a cure adeguate mentre è proprio tra i più giovani che emergono nuovi segnali di disagio. Solo in Italia, il 20% dei minorenni, circa 2 milioni di bambini e ragazzi, è affetto da un disturbo neuropsichiatrico, come denuncia la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), sottolineando l’importanza di intervenire precocemente fin dalla prima infanzia e sfatando il falso mito che la prevenzione debba cominciare solo a 14 anni.
Nell’ultimo Rapporto UNICEF si dichiara che a livello mondiale 1 adolescente su 7 (circa 166 milioni tra i 10 e i 19 anni) ha un disturbo mentale diagnosticato, con 89 milioni di ragazzi e 77 milioni di ragazze colpiti. Per comprendere di quali disturbi parliamo, ansia e depressione rappresentano il 40% dei disturbi mentali diagnosticati. Poi si passa ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, che vedono anticipare a 11-12 anni l’età di insorgenza; i tentativi di gesto estremo o ideazione degli stessi; psicosi; disturbi del comportamento e dell’umore, disturbo borderline di personalità e manifestazioni di autolesionismo, per citare i più frequenti.
Il Covid, un acceleratore di fragilità
La condizione psicologica di molte ragazze e ragazzi è peggiorata dopo l’emergenza pandemica. Non si tratta solo di una percezione, perché questa tendenza, che non andrebbe affatto sottovalutata, è confermata dagli indicatori sulla salute mentale. I minori sembrerebbe che abbiano pagato l’emergenza su diversi fronti, dagli effetti economici della pandemia, con l’aumento della povertà assoluta, a quelli educativi. Stando ai primi dati emersi, l’impatto sugli apprendimenti appare alquanto negativo. Nel 2021 quasi uno studente su 10 ha concluso le superiori con competenze di base inadeguate: 2,5 punti in più rispetto al 2019.
Come ben sappiamo l’emergenza Covid ha, inoltre, messo a dura prova la socialità di bambini e ragazzi, la possibilità di incontrarsi con gli amici e fare le esperienze formative tipiche di quell’età. Tanti aspetti differenti, ma che convergono tutti nell’indicare una particolare sofferenza per bambini e ragazzi, la cui condizione psicologica ha risentito dell’emergenza quanto e più di quella degli adulti.
Gli indicatori Istat
Monitorare un aspetto come questo sicuramente non è semplice. Uno strumento che consente una lettura del fenomeno è l’indice di salute mentale, elaborato dall’Istat all’interno degli indicatori sul “Benessere equo e sostenibile” (Bes). Si tratta di una modalità di misura del disagio psicologico (psychological distress) ottenuta dalla sintesi dei punteggi totalizzati da ciascun individuo di almeno 14 anni rispetto alle risposte a 5 quesiti estratti da uno specifico questionario. I quesiti selezionati si riferiscono alle quattro dimensioni principali della salute mentale: ansia, depressione, perdita di controllo comportamentale o emozionale e benessere psicologico. A partire dalle risposte, viene elaborato un indice che varia tra 0 e 100: più è elevato l’indice, migliori sono le condizioni di benessere psicologico della persona.
Tale indice, una volta disaggregato per età, sembra indicare un netto peggioramento del benessere psicologico tra ragazze e ragazzi tra i 14 e 19 anni, proprio a cavallo tra la rilevazione del 2020 e quella del 2021. Inoltre, il peggioramento delle condizioni di salute mentale è stato asimmetrico rispetto al genere. Per le adolescenti il calo dell’indice è stato molto più netto, passando in un solo anno da 71,2 a 66,6. Anche per i maschi si registra un peggioramento, sebbene più contenuto: da 76,5 a 74,1.
Gli studi più importanti
Già nel 2021, nel pieno della pandemia, l’Unicef dedicò il rapporto su ”La condizione dell’infanzia nel mondo” proprio alla questione della salute mentale tra i minori, evidenziando come a livello globale più di un adolescente su 7, tra i 10 e i 19 anni, convivesse con un disturbo mentale diagnosticato. Più di recente, la Commissione Lancet ha previsto, in vista del 2030, un peggioramento nel benessere psicologico di ragazze e ragazzi, stimando 42 milioni gli anni di vita in salute che potrebbero essere persi dagli adolescenti nel mondo nel 2030 a causa di disturbi mentali o di suicidi (2 milioni in più rispetto al 2015).
L’interesse per il tema nel post-Covid ha portato anche la ricerca in ambito nazionale a interrogarsi e a misurare le tendenze del benessere degli adolescenti nel nostro Paese. Tra le ricerche più significative quella promossa dal Ministero della Salute sui disturbi del comportamento alimentare tra i più giovani; quella sulle dipendenze comportamentali nella generazione Z (i nativi digitali, nati tra la fine degli anni ’90 e il 2012), a cura dell’Istituto Superiore di Sanità; quella del gruppo di ricerca su “Mutamenti sociali, valutazione e metodi” (MUSA) dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Cnr, pubblicata quest’anno, che evidenzia una crescita degli adolescenti che non incontrano i loro amici fuori da scuola, la cui percentuale potrebbe essere quasi raddoppiata dopo la pandemia.
L’Hikikomori e NEET: due esempi di ritiro sociale dei giovani
L’Hikikomori, ad esempio, è una forma di ritiro sociale patologico o distacco sociale, la cui caratteristica essenziale è l’isolamento fisico nella propria casa. Riguarda principalmente, ma non esclusivamente, adolescenti e giovani adulti. Anche i NEET sono giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione (dall’acronimo inglese Not in Education, Employment or Training). L’Italia ha una delle percentuali più alte di NEET in Europa, specialmente nel Sud e tra le giovani donne e presenta rischi di esclusione sociale, a causa anche di difficoltà economiche o di accesso al mondo del lavoro. Tra le cause che contribuiscono a questo fenomeno ci sono le difficoltà nel trovare un impiego stabile e la mancanza di opportunità lavorative adeguate, ma anche fattori legati al contesto sociale e alla salute mentale.
Ma la questione dei disturbi mentali deve essere affrontata da vari punti di vista (dipendenze, comportamenti a rischio, violenze, ritiro sociale), i cui effetti si possono quotidianamente rintracciare nei fatti di cronaca nera e nelle aberrazioni comportamentali giovanili che corrono sui social come le challenge pericolose.
La dichiarazione di Parigi
E’ evidente che la salute mentale è, oggi, un problema di salute pubblica. A giugno 2025 è stata firmata a Parigi una dichiarazione congiunta tra 31 Paesi affinché la salute mentale “sia priorità in tutte le politiche pubbliche”. L’obiettivo è ambizioso: fare in modo che il benessere psichico diventi una componente strutturale e trasversale di tutte le decisioni politiche, indipendentemente dal settore di riferimento, che si tratti di sanità, istruzione, giustizia, urbanistica o cultura. È emersa la consapevolezza condivisa che solo una risposta collettiva, integrata e trasversale, potrà affrontare in modo efficace una crisi che riguarda ogni aspetto della vita sociale. E questo è cruciale soprattutto per le nuove generazioni che sono il futuro del Paese e della nostra società.
In Italia il disagio mentale giovanile è entrato in parte nel dibattito pubblico e politico. La Legge 15/2022 ha istituito il bonus psicologo di 1.500 euro per un ISEE fino a 15.000 euro, 1.000 euro per ISEE fino a 30.000 euro e 500 euro per ISEE fino a 50.000 euro. Si registra anche una crescita delle iniziative scolastiche di supporto psicologico e sportelli di ascolto, tuttavia queste misure sono ancora frammentarie e temporanee. Molti territori, soprattutto nel Sud, soffrono, infatti, di una carenza strutturale di servizi psicologici pubblici, con lunghi tempi d’attesa e scarsità di personale specializzato.



