Per decenni, sotto la guida silenziosa, autorevole e sapiente di Enrico Cuccia Mediobanca è stato, nel bene e qualche volta anche nel male, il perno dell’economia nazionale, il luogo in cui i più grandi gruppi imprenditoriali componevano i loro confitti, definivano le loro strategie e si assicuravano il controllo delle aziende attraverso un reticolo di partecipazioni incrociate.
Negli anni della ricostruzione, e anche dopo, era necessario che il capitalismo italiano avesse un punto di riferimento in un’istituzione bancaria sui generis e per molti aspetti all’avanguardia rispetto al ruolo svolto dalle banche in altre economie occidentali.
Mediobanca era Cuccia e Cuccia era Mediobanca. Solo al taciturno banchiere era concesso di bacchettare le grandi famiglie del capitalismo, di inventare alchimie societarie per evitare che tra loro si facessero del male e diventassero preda di raiders stranieri.
La competenza tecnica, la visione strategica e il carisma di Cuccia sono stati indispensabili per rafforzare il capitalismo italiano. A questo si aggiunga l’assoluta probità morale di questo gran signore, morto a 97 anni, senza aver mai rilasciato un’intervista, avendo vissuto sempre in affitto a Milano e posseduto solo una villa a Meina, progettata da Fulco Pratesi. Ai suoi eredi Cuccia lasciò un unico conto corrente con 150mila euro di liquidità e la villa di famiglia del valore di circa 1 milione di euro. Eppure tra le mani di Cuccia erano passate tutte le più grandi operazioni societarie, acquisizioni, fusioni, scalate. Cose di altri tempi se si guarda alle miserie che sono successe in tante banche e banchette in cui hanno dilagato satrapi di nessun valore né tecnico né morale.
L’identità e il ruolo di Mediobanca sono mutati nel tempo a partire dall’attacco all’Istituto di via Filodrammatici lanciato da Romano Prodi quando era presidente dell’IRI e dai successivi sviluppi normativi del sistema creditizio che hanno concesso anche alle banche ordinarie l’esercizio del credito a medio e lungo termine.
Nel salotto di Mediobanca sono entrati imprenditori e finanzieri che poco avevano a che vedere con la antica visione di Cuccia.
Sotto la guida di Pagliaro e Nagel Mediobanca ha cercato di conservare la sua autonomia evitando che si costituissero cartelli di azionisti troppo forti.
Poi all’improvviso il più ricco e brillante imprenditore italiano, Leonardo Del Vecchio, alla tenera età di 85 anni ha deciso l’affondo: la sua finanziaria lussemburghese Delfin ha chiesto alla BCE tramite la Banca d’Italia l’autorizzazione a salire al 20% del capitale di Mediobanca. L’autorizzazione, con molta probabilità, arriverà in piena estate e consentirà a Del Vecchio di essere da solo e senza bisogno di patto di sindacato il vero punto di riferimento della banca d’affari.
Questa mossa non è piaciuta a tanti ambienti dell’economia e della finanza. Gli schizzinosi hanno sollevato il problema che Del Vecchio non fa il mestiere del banchiere e quindi sarebbe solo un investitore finanziario. E già… in un Paese in cui nessuno tira fuori soldi, una volta tanto che un imprenditore mette sul piatto alla luce del sole una scalata azionaria di questa portata con denaro fresco gli si fanno le pulci come se altri importanti azionisti di Mediobanca fossero illuminati banchieri o finanzieri di professione…
Sulle intenzioni di Del Vecchio è stato scritto tutto e il contrario di tutto, perfino che l’operazione sia finalizzata ad avvantaggiare i francesi, tramite una fusione tra Generali, di cui Mediobanca è azionista di riferimento con il 13%, e il colosso assicurativo Axa che ha la testa a Parigi. Un matrimonio che alcuni ipotizzano anche come gesto di ringraziamento del nostro governo ai francesi per il presunto regalo che ci avrebbero fatto spingendo per il Recovery Fund della Commissione europea.
Tutte illazioni e anche piuttosto fantasiose.
Sta di fatto che Del Vecchio sembra muoversi in direzione opposta: rafforzare il controllo italiano sia su Mediobanca che su Generali che è il gigante della finanza italiana e che ha grandi potenzialità di crescita in Europa: un’operazione necessaria in questa tempesta economica che ci obbliga a rinforzare gli ormeggi per evitare che altri gioielli di famiglia ci sfuggano di mano.
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