In Giappone nasce la plastica che scompare in mare in un’ora e nutre la terra

Una rivoluzione verde, il cui impatto potenziale è enorme. Il materiale è rigenerativo, non lascia microplastiche e rilascia nutrienti utili alle piante e agli organismi marini, trasformando i rifiuti in risorsa. L’ennesima riprova della necessità di investire in ricerca
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Una plastica che si dissolve in acqua di mare in meno di un’ora e che, una volta nel terreno, si decompone in dieci giorni rilasciando sostanze nutritive per le piante. È l’ultima innovazione sviluppata in Giappone nel campo dei materiali sostenibili, che promette di ridefinire il concetto stesso di biodegradabilità. Il nuovo polimero, frutto della collaborazione tra centri di ricerca e industrie chimiche giapponesi, non si limita, infatti, a scomparire senza lasciare residui, ma rilascia sostanze nutritive.

Una svolta nella lotta all’inquinamento da plastica

Secondo i ricercatori del RIKEN Center for Emergent Matter Science e dell’Università di Tokyo, responsabili della scoperta, la plastica si degrada completamente in meno di 60 minuti in acqua di mare, senza produrre microplastiche o altre particelle residue. In ambiente terrestre il processo si completa in circa dieci giorni, grazie all’azione di enzimi che accelerano la disgregazione del materiale in composti organici naturali.

L’invenzione arriva in un momento cruciale per il nostro Pianeta. Secondo le stime dell’ONU ogni anno oltre 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, frammentandosi in microplastiche che entrano nella catena alimentare e minacciano ecosistemi e salute umana. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente prevede che l’inquinamento da plastica triplicherà entro il 2040. Gli sviluppatori sottolineano come questa nuova plastica, a differenza di molte bioplastiche attualmente in commercio, non richieda condizioni di compostaggio industriale e possa quindi degradarsi in modo spontaneo anche in ambienti naturali.

L’obiettivo è imitare la natura

L’ispirazione è arrivata osservando come la natura gestisce la materia: nulla viene sprecato, tutto si trasforma. I cercatori hanno, dunque, cercato di replicare lo stesso principio in laboratorio, progettando un polimero che si comportasse come un materiale vivente, capace di reinserirsi nel ciclo biologico senza danneggiarlo.

E le differenze rispetto alle bioplastiche tradizionali sono notevoli. Molte bioplastiche richiedono temperature elevate o condizioni specifiche per degradarsi e spesso lasciano comunque micro residui. Questo nuovo ritrovato, invece, si decompone in modo spontaneo, senza interventi esterni. Più in particolare, la nuova plastica, definita “supramolecolare”, è creata mischiando in acqua due monomeri, l’uno esametafosfato di sodio (additivo alimentare) e l’altro ioni di guanidinio, ottenendo una sostanza viscosa con legami salini, che viene poi essiccata per produrre un polimero solido. A contatto con l’acqua salata le interazioni che tengono insieme la struttura si rompono, facendo dissolvere la plastica in poche ore. I prodotti della dissoluzione vengono poi metabolizzati dai microrganismi marini, eliminando ogni residuo, oppure nel terreno rilascia azoto e fosforo, sostanze nutritive benefiche per la salute del suolo e la crescita delle piante.

Però, nonostante la sua rapida dissoluzione in acqua, il materiale è stato progettato per essere sorprendentemente robusto e durevole in condizioni normali. La resistenza è ottenuta attraverso un processo di “desalting” che rafforza la struttura del polimero.

Dalla ricerca all’applicazione

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Science e ha generato grande interesse nel settore del packaging, soprattutto in Giappone dove quasi tutti gli imballaggi sono realizzati in plastica. Non si sa ancora con precisione quando potrà essere immessa sul mercato. Sono state già avviate partnership tra aziende giapponesi e internazionali per applicazioni in imballaggi e agricoltura. Se tutto procederà come previsto, la produzione su larga scala potrebbe iniziare entro tre anni.

L’obiettivo è ridurre progressivamente l’uso della plastica convenzionale in prodotti monouso come bottiglie, pellicole e sacchetti. Gli studi preliminari indicano inoltre potenziali applicazioni in ambito agricolo, ad esempio per teli biodegradabili o contenitori che, una volta disciolti nel terreno, rilascerebbero nutrienti utili alle colture.

Un nuovo paradigma dei materiali

Gli esperti parlano di una plastica “rigenerativa”, capace non solo di evitare l’inquinamento, ma di contribuire attivamente al benessere dell’ambiente. Una prospettiva che apre la strada a una nuova generazione di materiali circolari, progettati per integrarsi nei cicli naturali senza danneggiarli. Se le promesse saranno mantenute anche su scala industriale, l’invenzione giapponese potrebbe segnare un passo decisivo verso un’economia più sostenibile, in cui la plastica non è più un rifiuto, ma parte di un ciclo vitale.

Cristina Calzecchi Onesti

Cristina Calzecchi Onesti

Giornalista ed esperta di comunicazione aziendale. Dopo esperienze in tutta la comunicazione, dagli uffici stampa alle Relazioni esterne, ai Rapporti istituzionali, per quasi dieci è stata assistente parlamentare, portavoce e spin doctor alla Camera e al Senato. Da sempre si occupa di politica, sociale, diritti civili e ambiente.

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