Un’indagine congiunta di ONG siriane e osservatori internazionali ha rivelato che il regime di Bashar al-Assad avrebbe segretamente rimosso e ricollocato una fossa comune contenente i resti di centinaia di prigionieri politici uccisi extragiudizialmente. L’operazione, condotta in modo frammentato tra il 2021 e il 2023, avrebbe avuto l’obiettivo di cancellare le prove di crimini di Stato commessi all’interno della famigerata prigione di Saydnaya, a nord di Damasco. Secondo il Syrian Network for Human Rights (SNHR), i corpi sarebbero stati inizialmente sepolti in una zona militare interdetta nei pressi di Al-Qutayfah, per poi essere riesumati e trasferiti in località ancora sconosciute. Le immagini satellitari analizzate da Human Rights Watch mostrano movimenti sospetti di mezzi pesanti e modifiche topografiche nell’area, compatibili con un’operazione di occultamento su larga scala. “È un tentativo deliberato di cancellare le tracce di esecuzioni sommarie e torture sistematiche,” ha dichiarato Fadel Abdul Ghany, direttore di SNHR. “Il regime non solo uccide, ma vuole anche riscrivere la memoria collettiva del Paese.” La notizia ha riacceso l’attenzione sulla sorte di decine di migliaia di siriani scomparsi durante il conflitto, molti dei quali detenuti in carceri segrete o vittime di sparizioni forzate. Le famiglie delle vittime, spesso ridotte al silenzio o costrette all’esilio, chiedono giustizia da anni. “Non vogliamo vendetta, vogliamo sapere dove sono i nostri figli,” ha detto una madre siriana rifugiata in Turchia. Il governo siriano non ha commentato le accuse, ma in passato ha sempre negato l’esistenza di fosse comuni o esecuzioni extragiudiziali. Tuttavia, diverse testimonianze di ex detenuti e disertori confermano l’uso sistematico della tortura e delle esecuzioni all’interno delle strutture carcerarie del regime. L’ONU ha chiesto un’indagine indipendente e l’accesso immediato ai siti sospetti.