Ieri la fragile calma a Gaza è stata incrinata da un nuovo incidente: cinque palestinesi sono stati uccisi a Shejaiya, nella città di Gaza, dopo essersi avvicinati alle truppe israeliane oltre la cosiddetta “linea gialla”, l’area oltre la quale l’Idf si è ritirata secondo gli accordi di cessate il fuoco. L’esercito afferma di aver tentato di allontanare i sospetti prima di aprire il fuoco “per eliminare la minaccia”; Hamas denuncia una violazione della tregua e chiede ai garanti di intervenire. In serata, da Tel Aviv trapela l’intenzione di concentrare gli sforzi sulla restituzione dei corpi degli ostaggi morti. Intanto a Sharm el-Sheikh, Donald Trump e i leader di Turchia, Qatar ed Egitto hanno firmato una dichiarazione che accoglie “il vero e storico impegno” dell’accordo per porre fine alla guerra a Gaza, con un’enfasi su diritti, sicurezza e dignità “per Palestinesi e Israeliani” e sulla necessità di “smantellare l’estremismo” attraverso istruzione e opportunità. Un testo politico, più che tecnico, che affida l’attuazione a una cooperazione regionale prolungata. La ricostruzione si profila infatti una impresa titanica. Secondo le stime congiunte aggiornate presentate dall’Undp, oltre l’80% degli edifici della Striscia — fino al 92% a Gaza City — è distrutto o danneggiato. Le macerie ammonterebbero a 55 milioni di tonnellate; per ripartire serviranno 20 miliardi nei prossimi tre anni, e fino a 70 miliardi nel lungo periodo. L’agenzia Onu ha avviato i primi sgomberi, rallentati dalla presenza di ordigni inesplosi.
Miliziani, luoghi sacri, convogli
Nel frattempo Hamas ha iniziato a dispiegare combattenti e polizia in varie aree della Striscia per riaffermare il controllo interno, tra scontri con famiglie locali e messaggi contro “collaboratori”. A Gerusalemme Est, la visita non annunciata del ministro Itamar Ben-Gvir sulla Spianata delle Moschee, insieme all’attivista ultranazionalista Bentzi Gopstein, ha alimentato nuove tensioni. Recep Tayyip Erdoğan annuncia l’obiettivo di almeno 600 camion di aiuti al giorno diretti a Gaza e si dice determinato, con gli Stati Uniti e altri Paesi, a “difendere con fermezza” il cessate il fuoco.
Reazioni internazionali
Malgrado tutto, Giorgia Meloni, a NBC News, si è detta“assolutamente ottimista”, offrendo un contributo italiano su sicurezza, aiuti e diplomazia. Anche Joe Biden si è congratulatocon Trump per il rinnovo del cessate il fuoco e la liberazione degli ultimi ostaggi vivi, auspicando “pace, dignità e sicurezza in condizioni paritarie”. Emmanuel Macron sottolinea i “toni cordiali” di Trump verso Mahmoud Abbas e spiega l’assenza israeliana a Sharm per ragioni di formato e sensibilità dei partecipanti. Da Londra, Keir Starmer apre a un ruolo britannico nel disarmo di Hamas e nella ricostruzione. Teheran, al contrario, giudica l’appello alla pace “in contrasto” con le azioni statunitensi nella regione. Da Ginevra, Onu e Croce Rossa chiedono l’apertura di tutti i valichi per far fluire gli aiuti umanitari. La Santa Sede invia 5mila antibiotici destinati ai bambini, tramite il Patriarcato Latino di Gerusalemme. L’Unrwa sollecita l’ingresso libero dei giornalisti internazionali a Gaza per affiancare e rendere omaggio al lavoro dei reporter palestinesi.
Ostaggi
L’Idf ha completato l’identificazione di quattro salme restituite lunedì: tra loro il musicista israeliano Guy Illouz e lo studente nepalese Bipin Joshi. Il Comitato internazionale della Croce Rossa avverte che la restituzione di tutti i corpi sarà “una sfida enorme”, che potrebbe richiedere giorni o settimane, e chiede una gestione dignitosa delle spoglie. In Israele, fonti militari ventilano contromisure se non arriveranno altri corpi, inclusa la possibile stretta sugli accessi di aiuti.
“Fase 2”: sicurezza, governance e due Stati
In questo quadro, intanto, Doha ha confermato l’avvio delle discussioni sulla “fase 2” (sicurezza, amministrazione, garanzia di non-recidiva della guerra). Fonti israeliane riferiscono la selezione dei membri di un Comitato palestinese per la gestione di Gaza, in linea con il piano statunitense. Sullo sfondo, il dilemma politico: Trump evita di pronunciarsi sulla soluzione a due Stati: la priorità, dice, è ricostruire Gaza, mentre re Abdullah II avverte che senza Stato palestinese “il Medio Oriente è spacciato”.