Dopo mesi di violenze, sequestri e paralisi istituzionale, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato l’invio di una forza militarizzata internazionale per affrontare le bande armate che controllano gran parte di Haiti. La missione, guidata dal Kenya e sostenuta da Stati Uniti, Canada e altri Paesi caraibici, avrà il compito di ristabilire l’ordine nella capitale Port-au-Prince e nelle zone più colpite dalla criminalità. La risoluzione è stata approvata con 13 voti favorevoli, un’astensione della Russia e una della Cina. Il contingente, composto da circa 2.000 uomini, opererà sotto mandato ONU ma con regole d’ingaggio più flessibili rispetto alle tradizionali missioni di peacekeeping. L’obiettivo è chiaro: smantellare le reti criminali che hanno trasformato Haiti in un campo di battaglia urbano, dove la popolazione vive sotto assedio. Negli ultimi mesi, le bande hanno preso il controllo di interi quartieri, bloccato l’accesso a ospedali e scuole, e imposto “tasse” illegali su trasporti e beni di prima necessità. Il governo haitiano, privo di un presidente eletto e con istituzioni fragili, ha chiesto aiuto internazionale per evitare il collasso totale. “È una questione di sopravvivenza nazionale,” ha dichiarato il primo ministro Ariel Henry. La decisione dell’ONU segna una svolta, ma solleva anche interrogativi. Le precedenti missioni internazionali in Haiti sono state criticate per abusi e inefficacia. Le organizzazioni per i diritti umani chiedono trasparenza e coinvolgimento della società civile. Intanto, la popolazione guarda con speranza e timore all’arrivo dei soldati stranieri. La crisi di Haiti non si risolverà con le armi. Ma per molti, è l’unico modo per riaprire una strada verso la normalità.
