La XVII edizione del Forum internazionale PolieCo sull’economia dei rifiuti si è aperta venerdì a Napoli con l’ambizione di sciogliere un paradosso che da anni attraversa la transizione italiana: imprese che innovano a velocità sostenuta e istituzioni che faticano a tenere il passo. Quest’anno il titolo scelto, ‘Paradosso Green. Imprese, Autorità e Istituzioni: un sistema a doppia velocità’, vale più di un manifesto. Due giorni di lavori, il 26 e il 27 settembre, al Renaissance Hotel Mediterraneo, con un programma fitto di cinque sessioni e quaranta relatori, tra magistrati italiani e balcanici, accademici, forze dell’ordine e imprese della filiera del riciclo. Un’agenda che ha messo al centro la nuova normativa ambientale, i rischi di corruzione negli appalti ‘green’, le frontiere del riciclo chimico e meccanico, fino al focus sulla Terra dei Fuochi e alla cornice europea che incombe su regole, controlli e finanziamenti.
Il perno del dibattito

Ad accendere subito la prima giornata è stato il Decreto Legge 116 sulla Terra dei Fuochi. Per il Viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto il provvedimento “è una scommessa”: non un semplice inasprimento di reati e pene, ma una scelta modulata che recepisce le indicazioni della Cedu (sentenza del 30 gennaio) e tenta di comporre due diritti costituzionali spesso in collisione: tutela dell’ambiente e libertà di iniziativa economica. L’architrave, ha spiegato Sisto, è l’estensione del controllo giudiziario previsto dal codice antimafia ad alcune imprese dei rifiuti (solo nei casi che coinvolgono rifiuti pericolosi) e l’ampliamento del catalogo dei reati presupposto del D.Lgs. 231: un invito alle aziende a rafforzare sistemi di compliance, mappature dei rischi, procedure e audit interni.
Il punto, per il Viceministro, sta però nel “dosaggio” degli strumenti: “Serve un punto di equilibrio, perché l’eccesso di zelo delle Procure può finire per penalizzare le imprese sane. L’articolo 41 della Costituzione sia bussola per distinguere chi va sanzionato davvero da chi investe e si organizza in modo corretto”. Un equilibrio, ha aggiunto, che passa “anche per contravvenzioni con prescrizioni efficaci, capaci di imporre alle aziende il ripristino e la rimozione delle cause del reato”. E, in coerenza con il diritto europeo, il DL elimina la possibilità di qualificare come “di minore gravità” le fattispecie ambientali, allineandosi alla nuova tutela costituzionale dell’ambiente.
La contro-voce delle Procure

Il Procuratore di Bari Roberto Rossi ha ribalta la prospettiva: “Nelle norme ci sono forti contraddizioni. Se si interviene sulle intercettazioni, con quali strumenti scopriamo i criminali? E se si indebolisce la forza morale della magistratura, cosa impedirà a chi delinque di pensare di poterlo fare impunemente?”. Rossi ha messo a fuoco il cuore della sua critica: la lotta agli ecoreati ha bisogno di risorse (organici di polizia giudiziaria), ma anche di una politica criminale che veda la filiera per intero, dal conferimento alla destinazione finale. “Se la raccolta è progettata e gestita male, a valle i riciclatori recuperano il 10-20% e scartano tutto il resto. Le Procure arrivano quando la ‘frittata è fatta’. Senza controlli a monte, e sanzioni effettive su chi genera rifiuti ʼsbagliatiʼ, si alimenta un ciclo vizioso che apre la porta a smaltimenti illeciti, falsi trasferimenti e combustioni occulte”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Renato Nitti, Procuratore di Trani: “Il DL consente interventi più rapidi sugli abbandoni, ma via via gli strumenti si indeboliscono. La gestione illecita dei rifiuti non pericolosi è divenuta contravvenzione: così si abbassa la soglia penale e si rende più difficile colpire le associazioni per delinquere quando i reati fine sono meri illeciti contravvenzionali. Il decreto era partito bene, ma in sede di conversione ha perso parte della sua efficacia”.

Eugenia Pontassuglia, Procuratrice di Taranto, ha richiamato la dimensione sanitaria implicita nella Terra dei Fuochi: la dissipazione delle prove e l’abbassamento della soglia di allerta “non sono tecnicismi, ma scelte che hanno ricadute su acque, suolo e salute”, dall’accumulo di inerti e plastiche fino alle ricadute di diossine in aree fragili.

Una linea condivisa dal capo del Centro Operativo DIA di Napoli Antonio Galante che, pur riconoscendo la presenza di un impianto normativo robusto, ha chiesto strumenti investigativi adeguati all’era digitale: accessi più rapidi e interoperabili alle banche dati europee, cooperazione giudiziaria tempestiva e tecnologie che consentano di investigare i canali criptati senza scardinare la tutela della privacy. “Le ecomafie non parlano più al telefono fisso: i nostri strumenti devono poterle raggiungere dove si muovono oggi”.
“I reati in materia ambientale non accennano a diminuire”

Il dibattito normativo si è arricchito anche del contributo di Jacopo Morrone, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti. Intervenuto nella sessione dedicata alla gestione illecita, Morrone ha sottolineato che “i reati in materia ambientale non accennano a diminuire, e in alcune aree critiche sono persino in crescita”. Da qui l’importanza, ha spiegato, del Decreto Legge 116/2025, che inasprisce le sanzioni e introduce novità sostanziali sul Testo unico ambientale, sul Codice penale, sul decreto 231 e sul cosiddetto codice antimafia. “Il provvedimento non solo rappresenta un deterrente, ma fornisce a forze dell’ordine e magistratura strumenti più efficaci per contrastare gli illeciti”. Morrone ha spiegato che il business dei traffici illeciti ruota attorno a due leve: il profitto diretto dalla vendita di alcune tipologie di rifiuti e il risparmio di spesa ottenuto con la manipolazione documentale della tracciabilità. “Gli stessi principi dell’economia circolare, se distorti, diventano terreno fertile per la criminalità ambientale”.
Il deputato ha anche richiamato il lavoro della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, che segue da vicino l’evoluzione dei traffici, inclusi quelli transnazionali, al centro di incontri con Eurojust e Interpol. In chiusura ha rimarcato alcune novità chiave: l’elevazione a delitto di fattispecie prima contravvenzionali, l’aumento significativo degli edittali di pena e l’aggiornamento del catalogo dei reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti.
L’industria davanti al bivio

La crisi europea del riciclo delle plastiche è la seconda faglia che ha attraversato la prima giornata. La Sottosegretaria al Mimit Fausta Bergamotto ha avvertito: “Le strategie ambientali Ue devono essere ambiziose, ma non rigide fino a spingere interi comparti verso la desertificazione. In Europa il riciclo delle plastiche vive una crisi che rischia di erodere capacità e posti di lavoro. In Italia, pur con risultati importanti, come il superamento nel 2024 dell’obiettivo del 50% di imballaggi riciclati, la filiera è sotto pressione”. Il quadro causale è noto: import extra-Ue a basso costo e spesso non conformi, domanda interna che non assorbe la crescita impiantistica, costi energetici ancora alti, polimeri vergini a prezzi depressi. Da qui l’annuncio: l’8 ottobre si terrà al Minitun tavolo specifico sulle plastiche per allineare strumenti, controlli e politiche di sostegno. “Senza imprese solide non c’è riciclo; senza riciclo non c’è economia circolare; e senza economia circolare non c’è futuro sostenibile”.
Il ‘Paradosso Green’ secondo PolieCo

Padrona di casa, Claudia Salvestrini, Direttore generale di PolieCo, che ha spostato l’accento dal “quanto” al come. “Se da 17 anni discutiamo di traffici illegali e di norme che non tengono il passo delle imprese, vuol dire che qualcosa non va. L’Italia si riempie di numeri sulla raccolta, ma la filiera si regge su un dato più scomodo: quello del riciclato reale. Senza tracciabilità e certificazione dei flussi, dal granulo al manufatto, restiamo in balia di dumping e false rigenerazioni”.
Salvestrini ha concentrato le critiche sul capitolo Css (Combustibile solido secondario): “Allargare le maglie senza un pavimento analitico robusto significa spingere plastica buona al forno. L’economia circolare non è l’incenerimento: è rigenerazione di materia. Se l’obiettivo è moltiplicare di decine di volte i volumi di Css, come li raggiungiamo senza sottrarre materia al riciclo?”. Il timore, per Salvestrini, è aprire corsie preferenziali a traffici che si presentano come “merce” e non come rifiuto: “Il confine normativa-dogana è il vero teatro dell’illegalità contemporanea. E qui tracciabilità e controlli di qualità fanno la differenza, più dei proclami”.

In apertura, il Presidente di PolieCo Enrico Bobbio aveva fissato la rotta: accordi di filiera, come il recente confronto con i tubisti, settore chiave per i manufatti in polietilene, per condividere problemi di mercato, trattamento e lavorazione e ridurre l’impatto ambientale “con soluzioni concrete. Non è facile perché gli interessi sono molti e le scorciatoie non mancano. Ma il nostro compito è vigilare perché il sistema trovi una collocazione vantaggiosa per l’ambiente, per l’industria e per gli operatori”.
Le nuove rotte dei rifiuti

Il Forum ha chiamato a raccolta anche chi la frontiera la vede ogni giorno. Rovena Zoto, Procuratrice di Tirana, ha riassunto vent’anni di diritto ambientale albanese: dalla penetrazione dei principi Ue (“chi inquina paga”, sviluppo sostenibile) all’estensione dei reati ambientali nel 2019, fino ai primi casi emblematici che hanno riconosciuto la legittimazione di Ong e comunità a difesa del territorio (Valbona, Vjosa). La distanza tra norme e attuazione, però, resta il vero collo di bottiglia: pochi procedimenti, strutture tecniche insufficienti, controlli rari. Sullo sfondo, la ferita degli inceneritori e delle gare d’appalto opache: “un monito a rafforzare trasparenza e vigilanza amministrativa”.

Dal Montenegro la giornalista investigativa Tijana Lekic ha mostrato immagini e numeri: oltre 300 discariche incontrollate, centri di raccolta volontari semivuoti, assenza di una discarica per rifiuti pericolosi. “È una bomba ecologica silenziosa: oli esausti, solventi, Raee e rifiuti ospedalieri finiscono nei circuiti ordinari e poi nell’ambiente”. La dinamica è transfrontaliera: plastiche e scarti viaggiano lungo i fiumi, spinti da piene e vento, fino a formare sbarramenti di rifiuti come accaduto a Višegrad nel 2023. L’inchiesta balcanica ha citato anche la Croazia dove, nel 2025, un’operazione ha scoperto l’importazione illecita di decine di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi “spacciati” per plastica riciclabile, tramite documenti falsi e discariche abusive: margini alti, rischi bassi.
“Le ecomafie parlano digitale”
Il capo del Centro Operativo DIA di Napoli Antonio Galante ha riassunto la postura investigativa: “Lo schema non è più locale. Il modello Terra dei Fuochi è stato esportato, e gli attori si muovono su piattaforme e criptazioni che richiedono strumenti aggiornati. Cooperazione Eurojust-Europol, banche dati interoperabili, videosorveglianza delle aree sensibili: non possiamo farci fermare da pastoie tecnologiche”. Galante, richiamando la dimensione culturale del fenomeno, ha rifiutato l’idea che l’eco criminalità sia un accidente italiano: “O ci muoviamo con linguaggio comune e procedure tempestive o continueremo ad arrivare quando il danno è già fatto”.
Appalti ‘green’, certificazioni e Cam
Tra le sessioni in agenda, quella su ‘Acquisti verdi e certificazioni ambientali’ ha ricordato quanto il public procurement possa orientare (o distorcere) il mercato. Per PolieCo la bussola è chiara: certificazioni terze, tracciabilità di filiera, verifiche sulla qualità del riciclato. Senza, i Cam rischiano di diventare un viatico per “concorrenti sleali” (extra-Ue e non solo) pronti a dichiarare, senza prove, contenuti di riciclato impossibili da garantire. Una zona grigia che si allarga se, come teme Salvestrini, si apre la corsia del Css senza laboratori e metodi analitici riconosciuti, e senza incrociare le destinazioni finali con audit indipendenti.