Alla vigilia di una nuova settimana segnata dal conflitto in Medio Oriente, la capitale si prepara a uno sciopero generale “per Gaza” e l’Europa accelera sul dossier del riconoscimento palestinese. Lunedì 22 settembre, in piazza dei Cinquecento (stazione Termini), è previsto un presidio convocato dall’Usb con realtà palestinesi: attese circa ottomila persone, con piano sicurezza definito in Questura e ultimo tavolo operativo la mattina stessa. Sullo sfondo, raid incessanti sulla Striscia – con decine di vittime – e un quadro diplomatico in rapido movimento.
Sul fronte europeo, Emmanuel Macron ha confermato che la Francia riconoscerà lo Stato di Palestina lunedì 22 settembre a New York, in coincidenza con la settimana ad alto livello dell’Assemblea generale Onu. Il passo di Parigi s’inserisce in una scia più ampia: il Portogallo ha annunciato che formalizzerà il riconoscimento domenica 21 settembre, unendosi a un gruppo di Paesi (tra cui Belgio, Lussemburgo, Malta, Regno Unito, Canada, Australia, Andorra e San Marino) che intendono compiere la stessa mossa in questi giorni. Israele valuta contromisure, dagli insediamenti in Cisgiordania alla chiusura del consolato francese a Gerusalemme; Parigi studia risposte proporzionate.
L’asse Riad–Parigi–Oslo–Madrid, intanto, lancia una campagna di raccolta fondi per impedire il collasso dell’Autorità nazionale palestinese: l’obiettivo è mobilitare 200 milioni di dollari al mese per sei mesi, mentre il ministro delle Finanze israeliano Smotrich trattiene da quattro mesi i proventi fiscali destinati a Ramallah. Alla conferenza di lunedì a New York verrà chiesto a Israele di sbloccare le somme; se ciò non avverrà, i donatori copriranno le spese correnti dell’Anp.
Sul piano della sicurezza regionale, il quotidiano libanese Al Akhbar riferisce che l’Egitto avrebbe avvertito Israele: in caso di esodo di massa dalla Striscia verso il Sinai, il Cairo raddoppierebbe le truppe al confine entro 72 ore e dispiegherebbe armamenti pesanti ed elicotteri, nell’ambito delle intese previste dal trattato di pace.
Gaza City “anello di fuoco”
Nel frattempo, il bilancio della giornata a Gaza resta pesante: decine di morti dall’alba, mentre le Idf rivendicano colpi mirati contro infrastrutture di Hamas. Padre Ibrahim Faltas, ex vicario della Custodia di Terra Santa, parla di una città “ridotta a macerie” dove “le persone aspettano la morte”: mancano beni essenziali e perfino la connettività per comunicare con l’esterno. Sul terreno, Gaza City è di nuovo sotto “un anello di fuoco”: bombardamenti a tappeto colpiscono quartieri residenziali e infrastrutture.
Tra le vittime, anche il fratello del direttore dell’ospedale Al Shifa, Mohammed Abu Salmiya, ucciso con tre figli in un attacco nel campo di Shati. Fonti ospedaliere segnalano morti e feriti anche in una scuola usata come rifugio. Dalla fine di agosto, secondo la Protezione civile locale, circa 450 mila persone avrebbero lasciato la città verso sud; l’esercito israeliano stima 480 mila sfollati. In Cisgiordania proseguono arresti e perquisizioni notturne: decine di fermati tra Jenin, Hebron e l’area di Ramallah.
L’emergenza umanitaria si aggrava. L’Unicef denuncia il sequestro, da parte di uomini armati, di alimenti terapeutici pronti all’uso destinati a 2.700 bambini gravemente malnutriti, sottratti a quattro camion fuori dal compound di Gaza City. Il Fondo Onu invoca il rispetto degli aiuti e un cessate il fuoco stabile per garantire corridoi sicuri. Sul mare intanto la Global Sumud Flotilla, salpata da Portopalo, fa rotta verso la Grecia per ricongiungersi con altre imbarcazioni e mantenere i riflettori puntati sulla crisi.
15 uccisi su 16 sono civili
Le cifre delle vittime civili alimentano la pressione internazionale. Secondo un’analisi di Acled riportata dal Guardian, dall’inizio della nuova offensiva lanciata a marzo circa 15 palestinesi su 16 uccisi a Gaza sarebbero civili; lo stesso rapporto rileva un’impennata degli episodi con demolizione di edifici dopo la ripresa delle ostilità. Le Nazioni Unite stimano oltre 16 mila morti palestinesi da marzo in poi. Nel dibattito mediatico israeliano, intanto, Hamas pubblica un’immagine propagandistica dei 48 ostaggi ancora detenuti, rinominandoli simbolicamente “Ron Arad”, il navigatore scomparso nel 1988: le famiglie temono che senza un accordo la sorte dei loro cari s’incammini verso un epilogo analogo.
Trump: “Genocidio quello del 7 ottobre”
Dagli Stati Uniti, Donald Trump respinge le conclusioni Onu sul “genocidio a Gaza”, affermando che “il genocidio è quello del 7 ottobre”. Sulla sorte dei sequestrati fornisce numeri altalenanti: “tra 32 e 38 ostaggi” sarebbero morti, “forse 20 vivi”, lasciando spazio a interpretazioni contraddittorie mentre l’offensiva su Gaza City prosegue. In Italia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi – “amico di Israele”, precisa – accusa il governo Netanyahu di spingere il conflitto “oltre ogni limite di ragionevolezza, proporzionalità e umanità”, avvertendo che così si danneggiano anche gli “interessi di Israele” e invocando uno sforzo multilaterale per scongiurare l’escalation. Sul versante interno, rivendica gli interventi umanitari dell’esecutivo (dai fondi a “Food for Gaza” all’accoglienza sanitaria) e inserisce la crisi nel più ampio quadro di instabilità del Mediterraneo allargato, tra guerre, traffici e migrazioni, su cui l’Italia propone il “Piano Mattei”.