Alla vigilia dell’Assemblea generale Onu, Volodymyr Zelensky ha lanciato un appello diretto a Donald Trump: “Prima di porre fine alla guerra voglio accordi definiti, un documento sostenuto dagli Stati Uniti e dai partner europei. Perché ciò avvenga serve una posizione chiara del presidente Trump”. In un’intervista a Sky News, il leader ucraino ha aggiunto di ritenere Washington “sufficientemente forte” per decidere in autonomia, fornire “sistemi di difesa aerea in quantità” e imporre sanzioni “capaci di danneggiare l’economia russa”. Zelensky chiede “passi personali e decisi” per fermare Putin, senza attendere che tutti i Paesi Nato azzerino gli acquisti di petrolio russo. Sul fronte diplomatico, da Washington filtra l’ipotesi — riferita dal segretario di Stato Marco Rubio — di un faccia a faccia Trump-Zelensky la prossima settimana a New York, a margine dell’Onu. Intanto il ministro degli Esteri ucraino Andrii Syibiha ha accusato il Cremlino di non aver mantenuto nessuna delle promesse fatte negli ultimi mesi e ha sollecitato misure coordinate “da entrambe le sponde dell’Atlantico” per chiudere i rubinetti che finanziano la guerra. Sulla stessa linea Antonio Tajani, che indica come prioritarie sanzioni finanziarie per “tagliare la linea di rifornimento” con cui Mosca paga i soldati. L’Unione europea, però, ha rinviato la presentazione del 19° pacchetto di misure contro la Russia. Bruxelles sta valutando come rispondere alla richiesta dell’amministrazione Usa di accelerare l’uscita dall’energia russa e di colpire con dazi i grandi acquirenti extra-Ue, in primis India e Cina. Da più capitali europee trapela scetticismo su tariffe “paralizzanti” verso Nuova Delhi e Pechino; intanto il Tesoro americano ha fatto sapere che eventuali nuovi dazi anticinesi a Washington dipenderanno anche dalle mosse europee. Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha avvertito che potrebbero esserci “conseguenze” per Ungheria e Slovacchia se proseguiranno con petrolio e gas russi, mentre Budapest ribadisce che non rinuncerà all’import senza alternative reali per non mettere a rischio la sicurezza energetica. Ma il fronte energetico spacca l’Europa. Mentre Bruxelles studia come alzare la pressione su Mosca, Budapest e Bratislava restano le eccezioni sugli acquisti di greggio: per l’Ungheria, senza rotte e fonti alternative “non ha senso” discutere di tagli.
Escalation sul campo
Sul terreno, Kiev rivendica l’attacco notturno alla raffineria di Saratov, impianto da 4,8 milioni di tonnellate/anno che produce benzina, diesel, bitume e altri prodotti. Secondo lo Stato maggiore ucraino, nell’area sono state registrate esplosioni e un incendio: l’obiettivo è “minare il potenziale militare ed economico” della Russia, riducendone la capacità di rifornire le truppe. Mosca ha intanto proseguito i raid: a Zaporizhzhia ieri almeno dieci attacchi hanno ucciso un uomo e ferito tredici persone, tra cui una bambina di quattro anni, secondo le autorità locali. Zelensky denuncia un’escalation aerea: dall’inizio di settembre, stando ai dati diffusi ieri, contro l’Ucraina sarebbero stati lanciati oltre 3.500 droni, circa 190 missili e più di 2.500 bombe aeree. Per il presidente è “il momento” di costruire una difesa comune del cielo europeo con un sistema multilivello di difesa aerea: “Le tecnologie esistono, servono investimenti e volontà”.
Polonia intercetta un altro drone
Sui confini Nato cresce la tensione. In Polonia, il premier Donald Tusk ha reso noto che un drone è stato neutralizzato mentre sorvolava i palazzi governativi di via Parkowa e il Belweder: arrestati due cittadini bielorussi. Varsavia parla di “atto intenzionale” e di tattiche ibride russe; il viceministro degli Esteri Ignacy Niemczycki ricorda almeno 19 incursioni notturne, alcune “partite dalla Bielorussia”, e attacchi informativi e incendi dolosi “ispirati dai servizi russi”. Il presidente polacco Karol Nawrocki si trova in visita in Germania. Il clima militare resta teso anche a Est: le esercitazioni congiunte “Zapad” tra Russia e Bielorussia hanno incluso — secondo fonti militari di Minsk — pianificazioni sull’uso di armi nucleari tattiche e l’impiego del missile ipersonico russo Oreshnik; i bombardieri strategici Tu-160 hanno svolto missioni addestrative sul Mare di Barents.
Crosetto: “Non siamo in guerra”
In Italia, il ministro della Difesa Guido Crosetto chiarisce: “Non siamo in guerra e lavoriamo per evitarla”. Roma, sottolinea, opera per far cessare ostilità e violenze “nei limiti delle possibilità” di un Paese di medio peso, facendo leva sulla credibilità internazionale.