Lo afferma il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza del 26 agosto 2025, n. 7111. Legittimo il tetto di spesa determinato dalla Regione: l’incremento dei posti letto accreditati non genera un diritto automatico al finanziamento delle prestazioni sanitarie. L’accordo contrattuale rimane il solo perimetro valido per l’erogazione rimborsabile.
Con la sentenza n. 7111 del 26 agosto 2025, la Sezione III del Consiglio di Stato ha chiarito che l’ampliamento dell’accreditamento di una struttura sanitaria privata non comporta ex se un diritto all’incremento del tetto di spesa. L’accreditamento non è titolo sufficiente per pretendere la remunerazione delle prestazioni non coperte da specifici accordi contrattuali.
Il Collegio ha respinto l’appello proposto contro la sentenza del TAR che aveva confermato la legittimità della determinazione regionale dei tetti di spesa per il triennio 2021-2023, adottata in coerenza con la disciplina vincolistica statale e regionale. In particolare, è stato ritenuto conforme al quadro normativo vigente (artt. 8-quater e 8-quinquies del d.lgs. n. 502/1992) il mancato adeguamento del budget nonostante l’incremento dei posti letto autorizzati in ambito ortopedico.
Il Consiglio ha ribadito che le strutture accreditate operano nel perimetro definito dal contratto stipulato con l’ente sanitario territoriale, il quale costituisce l’unica fonte abilitante alla remunerazione delle prestazioni. La clausola di riserva apposta unilateralmente al contratto — con l’intento di contestare il budget assegnato — è stata ritenuta tamquam non esset, non essendo prevista nel modello contrattuale regionale.
Nessun automatismo è quindi configurabile tra l’ampliamento della dotazione strutturale e il riconoscimento di maggiori risorse economiche. Il tetto di spesa è frutto di una scelta programmatoria, legata alla sostenibilità del sistema sanitario e non sindacabile se coerente con i criteri previsti.
Quanto ai parametri utilizzati, la Regione ha legittimamente escluso i dati del 2020, influenzati dalla pandemia, e si è basata sull’attività del 2019, previo confronto con le associazioni di categoria. L’assenza di prova concreta del pregiudizio subito ha infine contribuito al rigetto del ricorso.