Come da tradizione estiva, la politica italiana sale sulla giostra della manovra economica. Mentre il Parlamento è in pausa, l’esecutivo e i partiti iniziano a scoprire le carte in vista della legge di bilancio 2026. Ma quest’anno, a rendere il gioco più delicato, c’è anche la campagna elettorale per le regionali: ogni proposta diventa strumento di consenso.
Il governo, chiusa la porta all’ipotesi del salario minimo legale, valuta nuove misure per sostenere i redditi.
Tra le ipotesi più concrete: una flat tax sulle componenti variabili del salario – straordinari, premi di produzione, lavoro festivo – con aliquota ridotta e tetto massimo. La misura, sostenuta in particolare da Forza Italia, rientrerebbe in una più ampia strategia di sgravi per il ceto medio.
Sul fronte fiscale, resta centrale la questione Irpef.
Forza Italia insiste sulla detassazione dei rinnovi contrattuali e sulla semplificazione fiscale per le fasce medie di reddito. Nel pubblico impiego, il ministro Zangrillo rilancia la detassazione dei premi di produttività (aliquota al 5% fino a 3.000 euro), già prevista nel settore privato. Ma l’estensione a oltre 2,6 milioni di dipendenti statali avrebbe un impatto non trascurabile sui conti pubblici: servono almeno 50 milioni, anche solo in fase sperimentale.
La Lega, invece, concentra gli sforzi su pensioni e rottamazioni. L’obiettivo dichiarato: consentire il ritiro a 64 anni, anche attraverso l’utilizzo del Tfr come rendita integrativa. Una proposta che ha già scatenato l’opposizione: “Il Tfr è dei lavoratori, non dello Stato”, accusa il deputato dem Arturo Scotto.
Intanto, dal Mef si attende il dato delle entrate di luglio – previsto per il 5 settembre – che sarà decisivo per definire il quadro delle risorse. Ma il rischio è che, ancora una volta, la coperta sia troppo corta: si trovano fondi per il pubblico impiego, mentre per i lavoratori del settore privato e per un taglio strutturale del cuneo fiscale si fa fatica a individuare coperture certe.
Tra proposte ambiziose e risorse scarse, la manovra 2026 si annuncia come l’ennesimo esercizio di equilibrismo politico, dove ogni intervento è un compromesso e nessuno vuole rimanere senza il proprio dividendo elettorale.