Si è spento ieri a 94 anni Emilio Fede. La sua lunga vita professionale, che lo ha reso uno dei volti più noti della televisione italiana, si era chiusa con un incarico che lui stesso definiva “il più prestigioso”: la direzione de La Discussione, il quotidiano fondato da Alcide De Gasperi nel 1952. Non fu un passaggio secondario, né un rifugio dopo una carriera televisiva già leggendaria. Fu la scelta consapevole di un giornalista che aveva attraversato mezzo secolo di informazione e che, dopo i riflettori della Rai e di Mediaset, volle tornare alle radici: la parola scritta, il dialogo con la politica, il confronto con le idee.
“Addio a Emilio Fede, amico leale, giornalista dalla carriera infinita conclusa con la direzione del quotidiano Dc La Discussione”, ha scritto Gianfranco Rotondi, Presidente della Dc, ricordando l’impegno di Fede come una sorta di testamento professionale.
Dalla televisione alla carta
Per Fede La Discussione rappresentava un ponte ideale tra la sua vocazione giornalistica e la sua passione civile. Il giornale nato con De Gasperi come strumento di elaborazione culturale e politica della Democrazia Cristiana trovava, con lui, una nuova energia comunicativa. Anche in quell’esperienza Emilio non rinunciò al suo tratto distintivo: la notizia cercata con fiuto, raccontata con passione, interpretata con personalità. Non era più il linguaggio incalzante del Tg4 o l’emozione della diretta televisiva. Era una scrittura riflessiva, ma sempre schietta, con cui volle riaffermare il ruolo del giornalismo come servizio e non solo come spettacolo.
L’eredità di una scelta
Certo, Emilio Fede resterà nella memoria collettiva come il direttore del Tg1, il fondatore di Studio Aperto, il volto del Tg4 per vent’anni. Ma la sua ultima direzione, quella de La Discussione, consegna un’immagine diversa: quella di un giornalista che, dopo i clamori della televisione, ha voluto concludere la propria carriera in un luogo di riflessione e confronto, fedele a un’idea alta di informazione.
Un ritorno alle origini, quasi un cerchio che si chiude: dalla cronaca in diretta all’editoriale meditato, dal flusso delle breaking news alla responsabilità della carta stampata. È lì che Emilio Fede ha scelto di lasciare la sua firma finale.
E forse è proprio in quella scelta, silenziosa, ma eloquente, che si legge meglio il senso di una vita interamente dedicata al giornalismo.
L’incontro con Berlusconi
Eppure la parabola di Fede non può prescindere dall’incontro con Silvio Berlusconi, che segnò la sua carriera e la sua immagine pubblica. Con il Cavaliere costruì un sodalizio ventennale, che lo portò a dirigere Studio Aperto e poi soprattutto il Tg4, di cui fu anima e volto dal 1992 al 2012. Amato e criticato, fu simbolo di un giornalismo schierato, militante, ma sempre animato da una convinzione: il giornalista deve esserci, deve prendere posizione, deve vivere la notizia. Quel legame con Berlusconi fu per lui un trampolino e insieme una gabbia: lo rese celebre, lo espose alle polemiche, lo fece diventare bersaglio di satira e di feroci contestazioni. Ma non lo distolse mai dalla sua missione: raccontare.
L’eredità di un uomo di notizia
Resta il ricordo di un giornalista istintivo, spesso sopra le righe, ma sempre innamorato del suo mestiere. Un uomo che scelse di chiudere il cerchio tornando alla carta stampata, sulle pagine de La Discussione. E forse è proprio lì, in quell’ultima direzione silenziosa ma eloquente, che si legge meglio il senso di una vita interamente dedicata alla notizia. Con Emilio Fede se ne va un pezzo di televisione italiana, ma resta la traccia di un uomo che ha vissuto il giornalismo come missione.