Dopo decenni di silenzio, la Danimarca ha chiesto ufficialmente scusa alle donne inuit della Groenlandia per la campagna di contraccezione forzata condotta tra gli anni ’60 e ’70. Un gesto atteso da tempo, che arriva in seguito a una crescente pressione pubblica e a un’azione legale avviata da oltre 140 donne coinvolte. Il governo danese ha ammesso che migliaia di giovani groenlandesi, alcune appena dodicenni, furono sottoposte all’impianto di dispositivi intrauterini (IUD) senza consenso informato. L’obiettivo, secondo documenti emersi negli ultimi anni, era contenere il tasso di natalità nella regione artica, allora sotto amministrazione danese. Il programma, noto come “Spiralkampagnen”, ha avuto conseguenze devastanti: molte donne hanno sofferto di dolori cronici, infezioni, aborti spontanei e, in alcuni casi, sterilità permanente. La prima ministra Mette Frederiksen ha espresso “profondo rammarico” per quanto accaduto, definendo la vicenda “una pagina oscura della nostra storia coloniale”. Le scuse sono state accolte con emozione da attiviste come Naja Lyberth, psicologa groenlandese e prima a denunciare pubblicamente l’abuso. “Abbiamo atteso troppo. Ora vogliamo rispetto, giustizia e memoria,” ha dichiarato Lyberth, che all’epoca era solo un’adolescente. Parallelamente, è stata avviata una commissione d’inchiesta congiunta tra Copenaghen e il governo autonomo della Groenlandia, che dovrà fare luce sulle pratiche mediche imposte tra il 1960 e il 1991. Ma per molte delle vittime, il tempo stringe: “La più anziana tra noi ha 85 anni. Non possiamo aspettare altri tre anni per un verdetto,” ha ribadito Lyberth. Le scuse ufficiali rappresentano un primo passo verso la riconciliazione, ma il dibattito resta aperto: basteranno a sanare una ferita che ha segnato generazioni di donne? La risposta, forse, arriverà solo quando la giustizia sarà accompagnata da un risarcimento concreto e da un riconoscimento pieno della dignità violata.
