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Dall’Alaska all’UE. Il Puzzle della Pace Ucraina

lunedì, 25 Agosto 2025
4 minuti di lettura

Siamo letteralmente bombardati da notizie sulle condizioni della pace. Una pace che nel vertice in Alaska ha avuto nuovo impulso.

Temo però che il percorso sarà lungo perché se si fa lo sforzo di uscire dall’attualità allora sono evidenti la mancanza delle condizioni necessarie ad una pace duratura.

Inutile qui enumerarle tutte, ma vale la pena riflettere su alcuni punti:

  • Alle nostre latitudini si continua a parlare del riarmo dell’Ucraina. Ma qualsiasi accordo di pace dopo una guerra ha come prima questione da affrontare il riarmo della Nazione soccombente. Sul punto vi è una continuità storica che va dalle guerre puniche alla Germania del 1949. Una continuità storica che allarma per lo scarso peso che l’argomento ha nelle cronache attuali. Questo tema appartiene alle cosiddette garanzie da dare all’Ucraina, ma senza scendere nel dettaglio significa determinare quali sistemi d’arma l’Ucraina possa avere e rimane un tema da affrontare.
  • Altro punto caldo è lo scambio dei territori. Secondo il Generale Boni molte delle ipotesi fatte avrebbero poco senso dal punto di vista militare, soprattutto per la Russia. È vero che potrebbe ottener politicamente il completamento del Dombass, ma di converso si aprirebbe un problema politico in termini di accettazione da parte Ucraina. Bisogna ricordare che le fortificazioni più efficaci nel rallentare la manovra russa sono proprio quelle che si chiede di abbandonare.
  • Il terzo problema, per quanto ingiusto e paradossale possa sembrare, ha un nome e cognome ed è il Presidente ucraino che secondo un sondaggio della Gallup ha ormai un basso consenso sul portare avanti la guerra. Soprattutto insospettisce il fiorire di articoli dal Financial Times al Guardian che lo accusano di scarsa vigilanza e repressione dei meccanismi anti corruzione.
    La copertina di Vogue dedicata Valerij Zalužnyj (ex comandante in capo dell’esercito ucraino e ora ambasciatore a Londra) e le indiscrezioni circa la costituzione di un suo comitato elettorale, rende lecito pensare che possa essere in itinere una possibile chiamata alle urne. Questa informazione andrebbe letta con la richiesta, condivisibile o meno, di Putin di avere un interlocutore legittimo. Ossia la richiesta di nuove elezioni, richiesta condivisa anche in alcune esternazioni di Trump, ma anche da una parte dell’establishment USA come il Generale Flynn.
    Certo Valerij Zalužnyj è ben visto da Inglesi e ucraini, ma si è sfatto fotografare più volte con il ritratto di Stepen Bandera alle spalle (eroe per una Nazione ucraina indipendente, ma al contempo responsabile dell’eccidio dei polacchi e dell’olocausto in Ucraina al fianco delle truppe naziste) e questo potrebbe costituire un problema per i Russi.

Insomma credo sia chiaro che se la situazione sul campo è complessa, lo è ancora di più districarsi nella ricerca della pace. Ci sarebbero molte altre questioni da dirimere prima della sigla di un accordo di pace. Intendiamoci lo sforzo fatto da Trump è serio e intanto ha introdotto alcuni parametri sui quali ragionare.

Il primo è che la guerra continuerà nelle more delle trattative. Il secondo è la chiusura all’ ammissione dell’ Ucraina nella Nato, ma di converso secondo l’ex Capo degli analisti della CIA per la Russia George Beebe, un’apertura per una adesione all’UE sul modello austriaco (ossia fuori dalle dinamiche di Difesa comune). Secondo Beebe, legare l’Ucraina politicamente ed economicamente all’UE sarebbe una concessione importante da parte Russa, visto l’andamento della guerra.

Per quanto riguarda l’Europa, tutto dipenderà dalla posizione degli USA. La posizione che Trump vorrebbe assumere è quella di un disimpegno e in questo senso gli fanno eco le parole di Putin che ieri per la prima volta in un discorso illustrando le opportunità di investimento per le aziende russe in Alaska, ha cambiato l’aggettivo con cui definisce gli USA. Da nemici sono divenuti “i nostri partner americani”.
La politica estera americana tuttavia è da tempo un riflesso della politica interna e la posizione di Trump, che sapremo solo fra due settimane, dipenderà molto dalle forze endogene agli USA. Esiste ancora una parte di Neocon e Democratici che vorrebbero continuare a sostenere l’Ucraina anche se attraverso lo strumento delle sanzioni. Queste forze sono ancora in grado di esercitare una pressione molto forte al Congresso e quindi vincolare il Presidente. Lo stesso JD Vance non ha escluso la continuazione del supporto a livello di intelligence e logistica a patto che gli europei si facciano carico del supporto economico e militare.

In realtà, tuttavia manca una unità di intenti in termini di politica europea sul concetto di garanzia. La presenza al vertice della Finlandia e dell’Inghilterra (paesi extra UE) e l’assenza della Polonia, la dice lunga. La reazione immediata di cui si parla molto, in caso di nuovo attacco russo, non vuole dire schierare uomini, ma semplicemente una riunione politica dei vertici europei per decidere il da farsi.

Se mi è consentito uscire dalle narrazioni, l’Europa non ha né un apparato industriale adeguato (come evidenziato dal Ministro della Difesa, Guido Crosetto), né le risorse economiche dati i costi di produzione e al momento, con l’eccezione di Francia e Polonia possiede eserciti lillipuziani pensato per guerre asimmetriche (Gen Capitini, Gen Bertolini, Gen Boni, etc…). Qualsiasi garanzia di sicurezza europea, a prescindere dai veti di Putin che pure bisognerà tenere in considerazione, hanno come presupposto il coinvolgimento degli USA in caso di violazione della pace.

In difetto temo che le uniche garanzie che l’Europa possa offrire oggi sono grandi dichiarazioni sulla carta ad ulteriore conferma dell’attuale irrilevanza di un Continente che ha pensato che la Storia fosse finita e che l’economia dominasse le dinamiche mondiali. Draghi, che è stato uno dei campioni di quella visione del mondo, nel suo ultimo discorso al meeting di Rimini sembra ne abbia preso coscienza. D’altra parte lo stesso Zelenski ha ribadito dopo il vertice che solo gli USA sono realmente in grado di garantire l’indipendenza Ucraina.

Insomma anche se Trump e Putin in Alaska hanno parlato di una visione geostrategica globale dove la Russia, anche se competitor essa stessa, potrebbe giocare un ruolo molto più importante rispetto all’Europa per contenere l’ascesa dell’ Asia e dei suoi giganti, mantenendo una visione del mondo di matrice “Occidentale” (e vi rendete conto che in questa visione l’Ucraina è una nota a pié di pagina), questo trend di riavvicinamento potrebbe subire un brusco cambiamento per questioni di politica interna agli USA e all’avvicinarsi delle elezioni di mid term. In quest’ultimo caso, per citare Luttwak, “lasceremo che la guerra dia i suoi frutti”, anche se potrebbero essere frutti avvelenati.

Paolo Falconio

Paolo Falconio

Membro del Consejo Rector de Honor e conferenziere de la Sociedad de Estudios Internacionales (SEI)

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