Solo l’impegno degli Stati più grandi ha permesso una riflessione e l’impiego di 750 miliardi per affrontare l’emergenza.
Ora valga il principio di uguaglianza ma basta con il potere di interdizione dei mini Stati. Storie, sistemi giuridici e culture non sono sempre assimilabili. Uguaglianza non significa subire ricatti. L’Italia propaga a Bruxelles scelte e riforme coraggiose. Lo diciamo con le parole dell’ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Scheauble: “SE FALLIAMO ADESSO L’EUROPA È MORTA
I tre Paesi con minori abitanti sono Malta, Lussemburgo e Cipro, che assieme rappresentano 2 milioni di abitanti. Germania, Francia ed Italia, i primi tre Paesi dell’Unione, più popolosi, invece, rappresentano le realtà, le proposte le iniziative di 200 milioni di abitanti. È un conto semplice lampante, ma bastano queste proporzioni per ricordare come l’Europa a 27 Stati, viva su una sorta di malinteso, chiamiamolo per ora se non giuridico, almeno politico, e ci interroghiamo, come lo farebbe ogni cittadino di buon senso: possono micro nazioni – che spesso si distinguono per regole internazionali opinabili sul piano fiscale, tanto da assurgere a ruolo di paradisi – dare ordini a quelle che hanno un ruolo, per dimensioni, per residenti, per la stessa vita di cittadini una differenza così schiacciante. Noi siamo certi che non sia possibile. Lo sanno tutti che il gioco dei veti dei piccoli sui grandi, non ha mai funzionato. La storia nel passato e quella moderna ci dice che nemmeno i grandi possono piegare i piccoli, se non impantanandosi in guerre e in fughe disonorevoli.
Il nostro impegno da Europeisti, e quindi da persone libere, che promuovono il libero mercato, la tutela della persona, rispettosi delle regole giuridiche, civili e morali, ossia dei valori fondanti dell’Unione – di cui rivendichiamo con Alcide de Gaspari, e Lorenzo Natali, solo per fare due nomi, l’idea stessa di Europa Unita – accettare l’imposizione, spesso pretestuosa è ostile, di minuscoli Paesi che si ergono a turno custodì di valori economici, finanziari, giuridici e addirittura morali. Non possiamo cedere a questo paradosso perché significa avvelenare la stessa idea di democrazia, di equilibrio tra Stati, e tra cittadini. Molti “allargamenti”, li ricordiamo nel 2002 con il vertice di Copenaghen che ha approvato l’adesione di 10 nuovi paesi, nel nel 2007 sono entrati in Europa: Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia. Bulgaria e Romania sono più entrati a far parte dell’UE nel 2007, e dal primo luglio del 2013 la Croazia. Mentre, per essere precisi, sono oggi in lista di attesa, per un prossimo ingresso: Bosnia-Erzegovina, Montenegro,Kosovo (risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’ONU), Macedonia del Nord, Albania, Serbia, Turchia.
Sulla carta appare tutto bello, perché confidiamo nei rapporti di amicizia, di interscambi economici, culturali. Di rispetto delle regole etc etc. Ma non sarà affatto così. Lo constatiamo già oggi. Ci sono differenze legislative e di norme che sono così significative da essere abissali. Ad esempio, per citare cose che i cittadini italiani sperimentano nel quotidiano: abbiamo nel nostro Paese, in agricoltura controlli severissimi con disciplinari di produzione e vendita che impongono etichette, data di origine di produzione, chi commercializza i prodotti, e molto altro ancora. Al contrario, invece, importiamo merce da altre nazioni che non hanno le nostre stesse attenzioni su qualità e salubrità. Così ecco che noi, secondo i report delle Associazioni di categoria del settore agricolo, subiamo un danno notevole, ossia le nostre imprese agricole e i consumatori, per concorrenza sleale e qualità degli alimenti. Stesso discorso per la pesca, o per generi di largo consumo.
Sono esempi ma da cui possiamo prendere atto che le garanzie non sono uguali. Allora come possiamo subire veti da chi poi non rispetta le stesse regole che noi abbiamo e imponiamo ai nostri cittadini e alle nostre imprese? Oggi stiamo vivendo una drammatica fase economica, sociale e sanitaria. Per questo il nostro appello alla chiarezza dei fatti, del rispetto di ciò che l’Italia rappresenta, dobbiamo dire con forza, lealtà e onesta politica e intellettuale, che l’Europa deve avere coraggio nel fare nuove scelte. I Trattati vanno aggiornati alla realtà, e oggi viviamo un mutamento di eccezionale e imprevista portata. Dobbiamo dire che i precipitosi ampliamenti – nel voler omologare culture e storie troppo diverse – sono state un errore. Dopo l’uscita – i cui contraccolpi sono ancora tutti da verificare – dell’Inghilterra, siamo 27 Stati che ragionano non in chiave di Unione ma con l’idea dei veti incrociati. Atti che sconfinano nella ostilità come oggi constatiamo da parte di Austria, Olanda, Danimarca e Svezia, sul piano delle scelte delle strategie economiche da mettere in campo per affrontare e riemergere da una crisi definita da economisti, sociologi e medici “epocale”.
Ora che l’Europa investirà 750 miliardi e di questi 172 assegnati all’Italia per affrontare l’emergenza economica e sanitaria, siamo i primi a rivendicare la necessità di decisioni rapide, concrete e ambiziose per il futuro dell’Unione.
L’Italia non vuole e non può rinunciare al suo ruolo, impegno, prerogative e pazienza. Devono altri essere consapevoli di ciò che rappresentano e sono. Non vogliamo dare lezioni ad altri ma nemmeno subirle.
Essere chiari è fondamentale se vogliamo salvare l’Europa, la sua storia e i suoi valori. E lo diciamo con le parole di un esponente politico che è stato espressione di atti di impegno e rigore monetario con il quale l’Italia più volte si è confrontata, l’ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Scheauble: “Se falliamo adesso l’Europa è morta”.