Da oggi, l’America di Donald Trump cambia marcia sul fronte commerciale. Con l’entrata in vigore di nuove tariffe doganali, gli Stati Uniti impongono dazi fino al 50% su decine di Paesi, in una mossa che il presidente definisce “una pioggia di miliardi di dollari su di noi”. L’Unione Europea è colpita da una tariffa del 15%, frutto di un accordo quadro ancora in fase di definizione. Ma il nodo delle esenzioni resta aperto: alcuni settori strategici, come l’aerospazio e l’agroalimentare, potrebbero beneficiare di deroghe temporanee. Più dura la linea verso India e Brasile, accusati da Washington di pratiche commerciali scorrette e, nel caso indiano, di finanziare indirettamente il conflitto russo tramite l’acquisto di petrolio. Per loro, dazi al 50% su prodotti chiave come rame e tessili. E non è finita: Trump ha annunciato una “stangata” del 100% su chip e semiconduttori, colpendo un settore nevralgico per l’economia globale. Taiwan, grazie alla presenza di impianti produttivi sul suolo americano, ottiene una parziale esenzione per il colosso TSMC. La strategia è chiara: ridisegnare gli equilibri del commercio mondiale, favorendo la produzione interna e punendo le economie ritenute “sleali”. Ma gli effetti potrebbero essere dirompenti. Secondo analisti, l’aumento dei prezzi per i consumatori americani è inevitabile, mentre le catene di approvvigionamento globali rischiano di subire scossoni profondi. Trump, intanto, rilancia: “Solo una corte radicale potrebbe fermare la grandezza dell’America”. Il messaggio è diretto, lo scontro è aperto. E il mondo osserva, tra timori e calcoli geopolitici.
