Ieri Israele ha annunciato una serie di tregue umanitarie temporanee nella Striscia di Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti, mentre proseguivano i bombardamenti che nelle ultime ore hanno causato oltre 50 morti, inclusi civili in coda per ricevere cibo. L’esercito israeliano ha dichiarato una “pausa tattica” tra le 10 e le 20 (ora locale), attivando corridoi sicuri per i convogli dell’ONU. Tuttavia, le contraddizioni sono evidenti: nella stessa giornata, almeno sette persone sono state uccise dal fuoco dell’IDF mentre attendevano gli aiuti a Zikim, nel nord della Striscia. Nonostante le tregue annunciate, l’emergenza umanitaria resta drammatica.
Il Programma Alimentare Mondiale ha fatto sapere di avere scorte per sfamare Gaza per tre mesi, ma ribadisce che la distribuzione via terra è ostacolata. L’UNRWA, per voce di Philippe Lazzarini, definisce i lanci aerei “costosi, inefficaci e pericolosi”, e denuncia l’insufficienza di una simile risposta in un contesto di carestia ormai conclamata. Un neonato di cinque mesi, denutrito, è morto tra le braccia della madre: una delle tante immagini simbolo della crisi. Ma tra le macerie e gli appelli diplomatici, continua a salire il numero delle vittime civili, mentre camion di aiuti partono dall’Egitto e altri paesi come Emirati Arabi e Regno Unito rilanciano i lanci aerei.
E mentre Israele sostiene di non porre limiti all’ingresso dei camion, le ONG accusano: la distribuzione via terra resta di fatto ostacolata, e la nuova Gaza Humanitarian Foundation, sostenuta da Israele e Stati Uniti per sostituire l’UNRWA, è al centro delle polemiche. Il timore condiviso da molte organizzazioni umanitarie è che anche questa tregua possa rivelarsi solo un’operazione di facciata, incapace di affrontare le cause strutturali della catastrofe in corso. Hamas ha avvertito che “la tregua avrà senso solo se salverà vite umane”.
Freedom Flotilla
Nel frattempo, la nave Handala della Freedom Flotilla, con a bordo 21 attivisti tra cui due italiani, è stata abbordata dall’IDF nelle acque internazionali. L’organizzazione accusa Israele di pirateria e di violazione del diritto internazionale. Il giornalista antimilitarista Antonio Mazzeo, prima del blitz, ha lanciato un video-appello chiedendo al governo italiano di intervenire per il rilascio dei passeggeri, tra cui anche Antonio La Picirella. Il sindaco di Messina ha convocato una giunta urgente e chiesto l’attivazione della diplomazia internazionale: “Non possiamo restare in silenzio”.
34 ex ambasciatori a Meloni: riconoscere Stato Palestina
Il governo italiano prende posizione, ma senza rotture nette. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che “la reazione di Israele è sproporzionata” e che Tel Aviv “ha vinto la guerra” e deve fermarsi. Ha ribadito la sospensione delle forniture militari dal 7 ottobre 2023, ma ha difeso la scelta di non interrompere del tutto i rapporti con Israele.
“La Palestina va costruita prima di essere riconosciuta”, ha spiegato, proponendo una missione ONU a guida araba e rinnovando il sostegno italiano all’iniziativa Food for Gaza. A Saar, omologo israeliano, Tajani ha chiesto lo stop definitivo alle operazioni rischiose per i civili e la riapertura stabile dei flussi di aiuti. Di tono diverso la lettera firmata da 34 ex ambasciatori italiani, tra cui Pasquale Ferrara e Rocco Cangelosi, indirizzata a Giorgia Meloni.
Il messaggio è chiaro: “Riconoscere subito lo Stato di Palestina” e sospendere “ogni cooperazione nel settore militare e della difesa con Israele”. I firmatari chiedono anche di sostenere sanzioni individuali in sede UE e la sospensione dell’accordo Israele-UE.
Rubio: “Usa devono cambiare strategia”
Sul fronte internazionale, il premier australiano Anthony Albanese ha definito il blocco degli aiuti a Gaza una “violazione della dignità umana”, pur precisando che l’Australia non è pronta a riconoscere uno Stato palestinese: “Serve una soluzione realistica che non minacci l’esistenza di Israele”.
Dagli Stati Uniti, anche Marco Rubio, segretario di Stato, ha espresso preoccupazione durante un incontro con le famiglie degli ostaggi israeliani: “Serve un cambiamento di strategia”. Una presa di posizione che si unisce al crescente coro di voci che, pur da prospettive differenti, ritengono insostenibile la situazione a Gaza e invocano un’azione politica strutturale.