In una decisione storica destinata a ridefinire il diritto internazionale ambientale, la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite ha stabilito che gli Stati possono intentare cause legali contro altri paesi per danni legati ai cambiamenti climatici. Il pronunciamento, richiesto dall’Assemblea Generale ONU nel 2023 e sostenuto da oltre 130 nazioni, è arrivato dopo anni di pressioni da parte di piccoli Stati insulari minacciati dall’innalzamento del livello del mare. La Corte ha affermato che la mancata protezione del sistema climatico può costituire una violazione del diritto internazionale, aprendo la strada a richieste di risarcimento da parte di paesi danneggiati. “Un ambiente pulito, sano e sostenibile è un diritto umano”, ha dichiarato il presidente della Corte, Yuji Iwasawa, durante l’udienza. Il caso è stato promosso dal governo di Vanuatu, con il sostegno di nazioni come Tuvalu e le Isole Salomone, che rischiano di scomparire sotto le acque. “La sopravvivenza del mio popolo è in gioco”, ha dichiarato l’avvocato generale Arnold Kiel Loughman. La sentenza riconosce il diritto degli Stati più vulnerabili a chiedere giustizia climatica contro i grandi emettitori. Sebbene l’opinione della Corte sia non vincolante, essa rappresenta un precedente giuridico che potrà essere utilizzato in cause nazionali e internazionali, accordi commerciali e negoziati climatici. Gli esperti parlano di “nuova era della responsabilità climatica”, con la possibilità che paesi come gli Stati Uniti, la Cina o la Russia vengano chiamati a rispondere delle proprie politiche ambientali. Fuori dal tribunale, centinaia di attivisti hanno accolto la decisione con applausi e striscioni: “La legge è chiara. Gli Stati devono agire ora”. Per molti, è il primo passo verso un sistema in cui chi inquina paga, e chi subisce ha finalmente uno strumento per difendersi. La giustizia climatica non è più un concetto astratto: oggi è una realtà giuridica.
