Il bilancio umanitario nella Striscia di Gaza continua a peggiorare. Nella sola giornata di ieri, secondo fonti mediche locali citate da Al Jazeera, almeno 63 palestinesi hanno perso la vita sotto i bombardamenti israeliani, tra cui 26 mentre cercavano aiuti umanitari. Tra le vittime, anche 15 persone – sei delle quali bambini – rimaste uccise in un attacco a un edificio che ospitava sfollati nel nord-ovest di Gaza City.
Dall’inizio della guerra, le autorità sanitarie locali denunciano oltre 59.000 morti e più di 142.000 feriti, con donne e bambini che costituiscono più della metà delle vittime. Intanto, più di cento organizzazioni umanitarie – tra cui Medici Senza Frontiere, Amnesty International, Caritas e Oxfam – hanno lanciato un appello drammatico, parlando apertamente di una “carestia di massa” in corso nella Striscia. In un comunicato congiunto diffuso ieri, si denuncia il blocco degli aiuti: “Tonellate di cibo, acqua, medicine e carburante restano inutilizzate, perché le ONG non possono accedervi o distribuirli”.
Solo negli ultimi due giorni, almeno 33 persone sono morte di fame, tra cui 21 bambini in 72 ore. Le Ong chiedono un cessate il fuoco immediato, l’apertura di tutti i valichi e la garanzia di un corridoio sicuro per gli aiuti. L’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani accusa l’esercito israeliano di aver ucciso oltre 1.000 civili dall’inizio di giugno, molti dei quali mentre tentavano di accedere a cibo e acqua nei pressi dei centri della Gaza Humanitarian Foundation, una rete teoricamente sostenuta anche da Israele e Stati Uniti, ma oggetto di critiche per l’opacità dei fondi. Nel frattempo, l’esercito israeliano continua le sue operazioni: secondo fonti militari, nelle ultime 24 ore sono stati colpiti 120 “obiettivi terroristici”, tra cui tunnel e postazioni di Hamas, mentre cinque divisioni delle Idf restano impegnate nell’enclave.
Israele: “carestia orchestrata da Hamas”
Il governo israeliano rigetta ogni accusa: secondo il portavoce David Mencer, “la carestia è orchestrata da Hamas, che ostacola la distribuzione e saccheggia gli aiuti per fini militari”. Una posizione subito contestata da Parigi, secondo cui il disastro umanitario è il “risultato diretto del blocco imposto da Israele”. Il rimpallo di responsabilità diventa sempre più acceso anche sul piano diplomatico. In questo clima, Hamas ha lanciato un appello a manifestare “in tutto il mondo libero” a partire da domani, 25 luglio, fino a quando l’assedio non sarà spezzato: “La fame si legge sui volti dei bambini e degli anziani, in un sospetto silenzio globale”.
Pressioni internazionali
Sul piano politico, si registrano nuove pressioni internazionali. Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, intervenendo ieri al Forum Italia-Algeria, ha dichiarato: “Basta bombardamenti, basta civili morti. È ora di un cessate il fuoco immediato”. Ha poi aggiunto: “Insieme ad altri 27 Paesi abbiamo inviato un chiaro messaggio a Israele, ma anche a Hamas: gli ostaggi devono essere rilasciati senza condizioni”. In Gran Bretagna, diversi ministri del governo Starmer chiedono il riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese.
Il titolare del Foreign Office, David Lammy, ha affermato che Londra è pronta a fare la sua parte per una soluzione a due Stati. “Se non ora, quando?”, ha dichiarato un ministro anonimo al Guardian. Gli Stati Uniti provano a mediare: oggi a Roma è atteso un incontro tra l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steve Witkoff, il ministro israeliano Ron Dermer e un rappresentante del Qatar. Obiettivo: rilanciare un piano di cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi.
Iran: “pronti a colpire”
Sullo sfondo, cresce anche la tensione con l’Iran. Il presidente Masud Pezeshkian ha dichiarato ad Al Jazeera che Teheran è pronta a rispondere militarmente nel caso Israele riprenda gli attacchi: “Non cerchiamo la guerra, ma non resteremo inerti. Le nostre forze sono pronte a colpire in profondità”. Intanto, l’intelligence iraniana denuncia crescenti tentativi di reclutamento da parte del Mossad e annuncia l’arresto di oltre 700 persone sospettate di spionaggio, sei delle quali già giustiziate.