La Duma di Stato ha approvato in terza lettura una legge che segna un nuovo giro di vite sulla libertà digitale in Russia: da settembre, chi effettua ricerche online di contenuti classificati come “estremisti” potrà essere multato, anche se vi accede tramite VPN. È la prima volta che la normativa russa punisce non la diffusione, ma la sola consultazione di materiali ritenuti pericolosi. La definizione di “contenuto estremista” fa riferimento a un elenco ufficiale del Ministero della Giustizia, che conta oltre 5.000 voci, tra cui siti di opposizione, post sui social e persino immagini religiose prive di simboli sacri. Le sanzioni previste vanno da 3.000 a 5.000 rubli per gli utenti (circa 35-55 euro), mentre chi promuove o fornisce accesso a VPN rischia multe fino a 500.000 rubli. La legge autorizza inoltre motori di ricerca, provider e amministratori di reti pubbliche a condividere con le autorità i dati di navigazione degli utenti, comprese le ricerche effettuate e i siti visitati. Una misura che, secondo Amnesty International, “viola il diritto alla privacy e alla libertà di espressione” e rischia di trasformare ogni cittadino in un potenziale bersaglio della sorveglianza statale. Martedì scorso, davanti alla Duma, si è svolta una protesta non autorizzata con lo slogan “Per una Russia senza censura”. Diversi manifestanti, tra cui giornalisti, sono stati fermati dalla polizia. Intanto, sui social, attivisti e tecnici diffondono contromisure: evitare motori di ricerca russi, disattivare l’identificazione biometrica e usare VPN non pubblicizzate. La legge, che ora attende il via libera del Consiglio della Federazione e la firma di Vladimir Putin, rappresenta un precedente inquietante: punire la curiosità, anziché l’azione. E mentre il Cremlino parla di sicurezza nazionale, cresce il timore che la Russia stia imboccando una strada sempre più simile a quella descritta da Orwell.