Se n’è andata come aveva scelto, con lucidità, determinazione e una dignità che ha commosso chi l’ha conosciuta e chi ha solo incrociato la sua storia. Laura Santi, giornalista perugina, collaboratrice del Corriere dell’Umbria, è morta ieri a 50 anni, prima persona nella regione ad aver ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Una battaglia lunga, dolorosa e combattuta anche con le armi della legge, che si è conclusa – nelle ultime settimane – con il riconoscimento ufficiale del suo diritto a porre fine alle proprie sofferenze. Affetta da sclerosi multipla progressiva da oltre 25 anni, Laura aveva visto il suo corpo spegnersi un centimetro alla volta, fino alla quasi totale paralisi, ad eccezione di una mano. Negli ultimi due anni, il peggioramento era stato inarrestabile, senza tregua, senza pause. Eppure, anche in quei giorni – raccontano amici e colleghi – Laura ha saputo infondere serenità negli altri, come se la pace che cercava l’avesse già trovata dentro di sé.
“Ho vinto. Sulla malattia, sulla sofferenza, sul dolore, sulla schiavitù, sulla progressione della sclerosi multipla, su questa vita tremenda. Non pensate al fatto che sono morta, pensate a come sono stata costretta a vivere negli ultimi anni e sorridete sapendomi finalmente libera”, ha lasciato scritto.
Forte e chiara
Queste parole, riportate dalla collega e amica Francesca Marruco, raccontano meglio di qualsiasi cronaca la forza e la chiarezza con cui Laura ha attraversato l’ultimo tratto della sua vita. Ha voluto che una collega le stesse accanto fino all’ultimo istante, come testimone, come presenza amica, ma anche come ponte tra sé e il mondo dell’informazione a cui ha dedicato una vita. Il Corriere dell’Umbria, la sua casa professionale, le dedicherà un numero speciale, per raccontare Laura oltre la notizia: come donna, come professionista, come persona capace di trasformare il dolore in coscienza civile.
Il suo percorso verso l’eutanasia è stato tutto meno che semplice. Assistita dall’Associazione Luca Coscioni, ha dovuto affrontare ordinanze del giudice, diffide, silenzi burocratici. E solo nelle ultime settimane sono arrivate, finalmente, le firme necessarie per procedere. Un traguardo raggiunto anche grazie alla disponibilità di alcune figure istituzionali che, rompendo l’inerzia, hanno scelto di ascoltare.
“Custodite la mia memoria e non siate tristi, io sono già altrove”, ha scritto Laura. E c’è qualcosa di cristallino in quelle parole: non solo la fine di una vita segnata dalla malattia, ma anche l’inizio di un dibattito pubblico che non può più essere rimandato.
Accanto a lei, fino alla fine, il marito Stefano, presenza silenziosa e assoluta: custode delle sue paure, dei suoi movimenti, della sua sopravvivenza e del suo cuore.