L’economia cinese attraversa una delle fasi più delicate degli ultimi decenni. A lanciare l’allarme è stato il ministro del Commercio, che ha definito la situazione attuale “molto grave e complessa”, aprendo alla possibilità di nuovi interventi di sostegno da parte del governo centrale. Nonostante una crescita ufficiale del PIL al 5,2% nel secondo trimestre, trainata dalle esportazioni, gli analisti parlano di segnali preoccupanti: consumi interni stagnanti, pressioni deflazionistiche e tensioni commerciali con Stati Uniti ed Europa stanno minando la tenuta del sistema. Il settore immobiliare, un tempo motore della crescita, è in crisi profonda. Le vendite di nuove abitazioni sono crollate, mentre le città di terzo livello – dove si concentra la maggior parte delle costruzioni – registrano un calo demografico e una domanda sempre più debole. Il fondo da 500 miliardi di yuan lanciato per acquistare case invendute ha avuto un impatto minimo, con meno del 5% dei fondi effettivamente utilizzati. La disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record, con oltre 17 milioni di under 25 senza lavoro. Il fenomeno ha generato il termine “rotten tail kids”, che paragona i giovani disoccupati agli edifici incompiuti che punteggiano le città cinesi. A peggiorare il quadro, la sovrapproduzione industriale e la deflazione: i prezzi alla produzione sono in calo da 20 mesi consecutivi, mentre il numero di aziende in perdita è aumentato del 44% nel primo semestre del 2024. Le cosiddette “aziende zombie”, mantenute in vita artificialmente, rappresentano ormai il 30% del tessuto industriale. Il governo di Xi Jinping punta ora su un modello di “sviluppo di qualità”, cercando di rafforzare il mercato interno e le industrie strategiche. Ma la transizione è lenta e incerta. La Cina si trova davanti a un bivio: riformare profondamente il proprio sistema economico o rischiare una stagnazione prolungata.
