Una tragedia e un rischio evitato per un soffio: il mondo dell’aviazione è scosso da due episodi ravvicinati che sollevano interrogativi sulla sicurezza dei voli. Il primo, il disastro del volo Air India AI171, precipitato il 12 giugno poco dopo il decollo da Ahmedabad con destinazione Londra-Malpensa, ha causato 260 morti. Il secondo, una collisione sfiorata tra due velivoli nello spazio aereo europeo, uno dei quali diretto proprio a Malpensa, ha riacceso l’allarme sulla gestione del traffico aereo. Nel caso Air India, le indagini preliminari hanno escluso guasti meccanici: i motori del Boeing 787 Dreamliner si sono spenti pochi secondi dopo il decollo, a causa dell’attivazione manuale degli interruttori di sicurezza del carburante. Le registrazioni della cabina rivelano una drammatica conversazione tra i piloti: “Perché li hai spenti?” chiede uno, “Non l’ho fatto io” risponde l’altro. Il sospetto è che il comandante, Sumeet Sabharwal, 56 anni, possa aver agito volontariamente. Il pilota, veterano con oltre 15.000 ore di volo, aveva preso congedi per depressione dopo la morte della madre e stava valutando il prepensionamento. L’ipotesi del gesto volontario, se confermata, lo collocherebbe tra i casi più inquietanti della storia dell’aviazione, come il Germanwings 9525 nel 2015. Intanto, il governo indiano ha ordinato controlli su tutti gli interruttori di alimentazione dei Boeing 787 e 737 registrati nel Paese. La collisione sfiorata, avvenuta pochi giorni dopo, ha coinvolto un volo europeo e uno cargo, evitata grazie all’intervento tempestivo dei controllori. Sebbene non collegata direttamente allo schianto Air India, l’episodio ha rafforzato la richiesta di sistemi di monitoraggio più avanzati e valutazioni psicologiche più rigorose per il personale di volo.