domenica, 13 Luglio, 2025
Esteri

Netanyahu lascia gli USA: “Presto buone notizie”

Il premier Israeliano: "Spero accordo a breve". Relatrice Onu per i diritti umani Albanese, sanzioni Usa oscene, “metodo mafioso”. Gallant scrive a Khamenei

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lasciato ieri la capitale statunitense al termine di una visita di quattro giorni che, a suo dire, ha centrato “tutti gli obiettivi previsti”. In un’intervista rilasciata poco prima del decollo, il premier ha espresso ottimismo sull’imminente raggiungimento di un accordo per la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza. “Spero che potremo raggiungerlo in pochi giorni – ha dichiarato –. Questa guerra potrebbe finire domani, oggi stesso, se Hamas depone le armi”. Durante la trasferta, Netanyahu ha ribadito la collaborazione strategica con Washington nella lotta contro il programma nucleare iraniano. Ma se sul piano militare l’intesa sembra solida, sul fronte diplomatico le trattative con Hamas restano in stallo, nonostante le pressioni del presidente statunitense Donald Trump e quelle interne in Israele. Nel dettaglio, Netanyahu ha confermato che sarebbero ancora vivi almeno 20 dei 50 ostaggi in mano al movimento islamista palestinese. L’accordo in discussione prevede il rilascio di circa metà dei vivi e metà dei deceduti, “ma voglio liberarli tutti”, ha assicurato. La proposta porterebbe al rimpatrio di una decina di prigionieri vivi e circa 12 salme.

Gaza: bombardamenti continui

Nel frattempo, il conflitto nella Striscia di Gaza continua a mietere vittime. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, fino al 7 luglio almeno 798 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano nei pressi dei punti di distribuzione degli aiuti umanitari. Di questi, 615 sarebbero morti vicino ai siti della Gaza Humanitarian Foundation, mentre altri 183 sarebbero stati colpiti lungo il tragitto dei convogli.Nonostante la drammatica situazione, alcuni aiuti riescono ancora a raggiungere la popolazione. Un convoglio composto da tredici camion provenienti dagli Emirati Arabi Uniti è riuscito a entrare nella Striscia, dopo che una nave cargo aveva attraccato al porto israeliano di Ashdod con 2.500 tonnellate di materiali.Le operazioni militari israeliane non si fermano. Ieri è stata segnalata l’uccisione del comandante del battaglione di Jabaliya di Hamas, Iyad Amran, durante un bombardamento condotto contro una scuola nel campo profughi della zona. Sempre nella Striscia, un altro giornalista palestinese è stato ucciso: Ahmad Abu Eisha, reporter per Palestine Today TV, è stato colpito da un drone israeliano davanti alla propria abitazione a Nuseirat. Con la sua morte, il numero totale dei giornalisti uccisi dal 7 ottobre 2023 sale a 229.

Sanzioni Usa contro Albanese

Proprio sul fronte del rispetto dei diritti umani nei Territori palestinesi si è aperta una nuova frattura tra gli Stati Uniti e le Nazioni Unite. Francesca Albanese, relatrice speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori occupati, ha definito “oscene” le sanzioni imposte nei suoi confronti da parte dell’amministrazione Trump. In un’intervista ad Al-Jazeera, Albanese ha denunciato il provvedimento come una ritorsione per il suo impegno nella ricerca della giustizia per i crimini commessi a Gaza. “Sono tecniche di intimidazione mafiosa – ha dichiarato –. Ma non mi fermeranno”. Secondo l’esperta, le sanzioni funzionano solo “se le persone si fanno intimidire”. “Il motivo per cui queste misure vengono adottate è proprio perché ho chiesto giustizia – ha concluso – e continuerò a farlo nel rispetto del diritto internazionale”.

Gallant scrive a Khamenei

Nella notte tra il 10 e l’11 luglio, un missile lanciato dallo Yemen è precipitato prima di raggiungere il territorio israeliano. L’episodio non ha causato vittime né danni, ma contribuisce a mantenere alta la tensione nell’area. Lo stesso ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, ha colto l’occasione per lanciare un messaggio diretto alla Guida Suprema dell’Iran, Ali Khamenei, in una lettera aperta dai toni durissimi. Secondo Gallant, “la rete di alleati regionali” creata da Teheran — Hamas a sud, Hezbollah a nord, Siria e Iraq a est, Houthi a sud-est — “non ha funzionato come scudo” per proteggere la Repubblica islamica dagli attacchi israeliani. “La vostra strategia si è trasformata nella vostra vulnerabilità”, scrive il generale, sottolineando che “vediamo tutto, sentiamo tutto, siamo ovunque”. Gallant conclude la lettera con un ultimatum: l’Iran deve decidere se continuare a inseguire l’arma nucleare “senza protezione” oppure “dedicarsi al benessere del proprio popolo”.

Minacce a Narges Mohammadi

Infine, dalla comunità internazionale giungono nuove preoccupazioni per l’attivista iraniana Narges Mohammadi, premio Nobel per la Pace 2023. Secondo quanto riferito dal presidente del comitato norvegese per il Nobel, Jørgen Watne Frydnes, Mohammadi avrebbe ricevuto minacce dirette e indirette di “eliminazione fisica” da parte di agenti del regime iraniano. L’attivista, più volte incarcerata per il suo impegno in favore dei diritti umani, ha chiesto al comitato di rendere pubblica la minaccia ricevuta. Le parole di Mohammadi, unite agli avvertimenti di Gallant e alle sanzioni contro Albanese, dipingono un quadro globale sempre più polarizzato, in cui diplomazia, guerra e diritti si intrecciano in una spirale che pare sempre più difficile da interrompere.

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