martedì, 24 Giugno, 2025
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L’intelligenza artificiale cambierà per sempre il modo in cui ricordiamo?

Dai deep fake sui social agli avatar predittivi: tra innovazione e illusione, l'AI sta riscrivendo il nostro rapporto con la memoria. E se un giorno fossimo noi i protagonisti di questo presente eterno?

Un giorno scorri un video su TikTok, Elvis Presley che canta una canzone mai incisa. Il giorno dopo, trovi Lady Diana che passeggia tra le corsie di un supermercato. Sembrano reali. Non lo sono. Sono repliche animate da intelligenze artificiali, costruite per colpire, emozionare, trattenere lo sguardo.
Oggi non è più necessario avere archivi, documentari o fotografie per ricordare. L’AI genera il ricordo stesso, lo plasma, lo mette in scena. E nel farlo, cambia non solo come conserviamo il passato, ma come lo interpretiamo. E forse anche come lo desideriamo.
Negli ultimi anni, strumenti di intelligenza artificiale sempre più accessibili – da HeyGen a Rask AI, da ElevenLabs a D-ID – hanno permesso di animare fotografie, riprodurre voci, tradurre labiali, rigenerare movimenti. Basta un video amatoriale, un frame d’archivio o pochi secondi audio per “resuscitare” una presenza nota, rendendola nuova.
E questo succede ogni giorno sui social con deepfake di attori scomparsi, leader storici che leggono meme, celebrità defunte che partecipano – digitalmente – a contenuti comici, pubblicitari, emozionali.
Ma questa capacità di “rimettere in scena” non si limita ai volti noti. Ogni giorno, mentre usiamo app, piattaforme, assistenti vocali e motori di ricerca, l’AI impara.
Osserva il modo in cui scriviamo, parliamo, scegliamo.
Raccoglie dati comportamentali, stilistici, linguistici, dai nostri messaggi alle nostre pause. E li immagazzina.
Non è difficile immaginare un futuro prossimo in cui ciascuno di noi potrà essere riprodotto virtualmente: una voce che suona come la nostra, un linguaggio che ricalca i nostri tic verbali, un avatar che imita i nostri gesti più ricorrenti.
Un giorno, probabilmente, potremmo essere “presenti” anche dopo la morte, non come ricordo, ma come simulazione interattiva. Non solo ricordati: replicati. Resi disponibili. Pagando forse per un servizio accessibile a pochi.
Quindi, memoria o simulazione?
È in questo contesto che si apre la questione più delicata: possiamo ancora distinguere il ricordo autentico dalla sua rappresentazione artificiale? È memoria, quella generata da una macchina che ricompone tratti e voci con algoritmi predittivi? O è solo una forma di intrattenimento mascherata da affetto?
La scena di Matrix in cui Neo scopre che la realtà è programmata resta un’analogia potente, ma oggi la posta in gioco è più sottile: non ci viene chiesto di scegliere tra reale e simulato, ma di accettare che anche il passato possa essere manipolato per diventare funzionale al nostro presente.
Chi decide cosa è lecito fare con l’immagine e le tracce digitali di una persona, viva o morta? Chi può autorizzare la riproduzione di un’identità, e a quale scopo?
L’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui ricordiamo, questo è certo.
Ma sta anche sfidando la nostra capacità di accettare l’assenza, di elaborare la fine, di lasciare andare.
Nel futuro prossimo, ci sarà chi rivivrà in formato digitale: un figlio potrà parlare con il padre scomparso tramite un avatar AI addestrato in vita.
Ma allora la memoria sarà ancora atto umano – fragile, incompleto, profondamente vero – o solo una forma di disponibilità algoritmica?
Non è una questione tecnica. È una questione etica.
E la risposta, come sempre, non verrà dalla macchina. Verrà da noi.

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