Fase-2, Caos-2. Oggi è il grande giorno, la riapertura solenne; un giorno talmente grande che quasi quasi, molti italiani, prima o poi, finiranno per rimpiangere l’isolamento, il silenzio delle città e l’educazione civica imposta.
Tornerà dunque, la confusione generalizzata e torneranno le proteste: è un momento difficile, cruciale, che qualcuno ha l’ardire di chiamare “ripartenza economica”. Ripartenza senza soldi. E la confusione è soprattutto nella “testa”. Del premier. Che sabato, col trito rituale appuntamento serale, dietro l’occhio imperativo e soddisfatto di Casalino, ha sfoggiato la solita comunicazione. Ambigua, oscillante, mascherata di enfasi e retorica affettata.
Messaggi unicamente concentrati a non rompere i già precari equilibri interni della maggioranza giallorossa. Con accenti e punte di acida polemica, come quando sono state toccate le sue scelte: ad esempio, il tono con cui si è rivolto a un giornalista reo di aver esposto i limiti del Commissario Arcuri. Il presidente del Consiglio non ha risposto propriamente da “gentiluomo con la pochette”: “Se lei ritiene di poter far meglio di Arcuri la terrò presente”. Oppure quando ha ribadito le sue specchiate virtù democratiche: “Vado pure in parlamento ad ascoltare”, ci mancherebbe altro, visto che ancora sulla carta siamo in democrazia.
Tornando alla conferenza stampa, Conte è partito con una gaffe non da poco. Lapsus giustamente evidenziato da Franco Bechis sul Tempo: “Da lunedì via alle autocertificazioni”, l’esatto contrario di ciò che doveva dire; ossia, “via le autocertificazioni”.
Poi, ha snocciolato una serie di dati e di regole comportamentali, provvisorie e definitive, elastiche e non, che si possono interpretare in ogni modo (tipo le disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione), e che soprattutto nascondono due inganni. Se le cose andranno male, i contagi riprenderanno a salire, ci sarà di nuovo il lockdown. E, secondo aspetto, sarà colpa delle Regioni, a cui ha concesso margini per muoversi, non per amore di federalismo, ma per scaricare eventuali responsabilità.
E’ una polpetta avvelenata che i governatori hanno capito bene e che hanno accettato loro malgrado (dopo una notte estremamente nervosa), imponendo a loro volta specifici protocolli di sicurezza. Tutti meno il presidente della Regione Campania De Luca che ha detto chiaramente che non riaprirà, se non ci sarà una direttiva ad hoc del ministro della Salute.
Al di là delle norme sulla riapertura, metri che vanno e vengono, mascherine che vanno e vengono, seconde case, parrucchieri, commercio, etc, restano allarmanti i dati e i primi bilanci della gestione “virale” di Conte.
Pazienza se il comitato tecnico di Palazzo Chigi (i sacerdoti col camice bianco), non sono d’accordo sulla riapertura; pazienza se l’App Immuni deve cominciare la sperimentazione, se le mascherine stesse sono ancora lontane dalla distribuzione massiva promessa dall’intoccabile Commissario Arcuri, o se i test sierologici sono troppo pochi per garantirli a tutta la popolazione; ma i numeri parlano chiaro: quasi un terzo delle misure del Decreto Cura-Italia da 25 miliardi, varato il 17 marzo scorso non è ancora andato a segno; appena il 3×100 del Decreto Liquidità da 400 miliardi di euro varato ai primi di aprile è diventato una pratica di finanziamento alle imprese; il Decreto Rilancio da 55 miliardi di euro già illustrato in conferenza stampa giorni fa è ancora un fantasma. Magari sarà pubblicato, ma quei soldi sono ancora da trovare, ed essendo in debito, non ci sono. Scrive sempre il direttore del Tempo, “bisogna fare aste di titoli di Stato straordinarie, ma per cifre molto inferiori, o contare su prestiti della Ue di cui ad oggi non si vede nemmeno l’ombra”.
Le chiacchiere a questo punto, stanno a zero. E l’ultima chicca, è la minaccia di bloccare per motivi di contagio, le due manifestazioni che forse confluiranno in una, di Fdi e Lega, previste per il 2 giugno, festa della Repubblica. Forse Conte ha in mente una sua festa. Con conferenza stampa notturna. (Lo_Speciale)