domenica, 15 Giugno, 2025
Attualità

Bene Meloni ed il ceto medio

Gli avversari politici della Meloni tutto possono rimproverarle salvo che non abbia una forte sensibilità sociale – del resto viene da una storia che ha avuto come pilastro culturale “l’umanesimo del lavoro” – e che non sia in grado di cogliere gli umori e le tendenze dell’opinione pubblica e dei suoi ceti di riferimento.

Era da tempo che avrei voluto scrivere della sofferenza e della precaria situazione del ceto medio per lanciare un grido d’allarme al governo di destra-centro che sembrava non accorgersi della sofferenza di una parte del popolo italiano, ma l’altro giorno il nostro premier Giorgia Meloni ha saputo dimostrare di stare un passo avanti a tutta la sua maggioranza e di essere in grado ancora una volta di “spiazzare” tutta l’opposizione di sinistra e dei 5 Stelle.

Infatti agli “Stati Generali dei Commercialisti 2025”,che si sono tenuti alla Nuvola di Fuksas, a Roma, senza mezzi termini ha detto: bisogna “Tagliare le tasse in modo equo e sostenibile”… “il nostro lavoro non è finito: intendiamo fare di più e concentrarci oggi sul ceto medio, che è la struttura portante del sistema produttivo italiano e spesso è quello che avverte di più il peso del carico tributario”. Queste parole sono state accolte da una standing ovation della platea che si è ripetuta anche quando ha aggiunto che: “Questo è il governo che ha ottenuto risultati migliori nella storia nella lotta all’evasione. Chi vuole fare il furbo non ha spazi, ma chi è onesto ed è in difficoltà deve essere messo in condizione di pagare quello che deve. Questa è la distinzione semplice che abbiamo operato” perché “Il fisco è il biglietto da visita della credibilità di uno Stato. Non deve soffocare la società ma aiutarla a prosperare, non deve opprimere ma deve chiedere il giusto”.

La richiesta di tutelare di più e meglio il ceto medio era da tempo venuta da più parti perché – ad esempio – dai dati sulle dichiarazioni Irpef 2024 sull’anno di imposta 2023 era emerso che quasi 12 milioni di cittadini non versano l’Irpef, tra contribuenti con imposta pari a zero (oltre 9 milioni) o interamente compensata da detrazioni e deduzioni. Il 78% dei contribuenti ha redditi fino a 35 mila euro e versa il 36% dell’imposta netta totale. Il 22%, con redditi dai 35 mila euro, paga il restante 64%: il 30% è nella classe 35-70 mila euro. Nel complesso il 15% dei contribuenti appartenenti a questo ceto sociale contribuisce al gettito dell’Irpef per il 60% a fronte di servizi offerti sempre meno efficienti se non inesistenti (solo il 18% degli italiani ritiene sufficiente il welfare pubblico) e con un aumento continuo e consistente della spesa privata per sanità e scuola.

Negli ultimi anni vi è stata una vera e propria “erosione” delle possibilità del ceto medio, infatti secondo la ricerca Iref Acli sui dati dei Caf delle ultime dichiarazioni dei redditi, il ceto medio si sta sgretolando. I dati dimostrano con chiarezza che in Italia è molto più facile impoverirsi che arricchirsi, anche se si lavora. Se da una parte il 10% delle famiglie del panel preso in esame è passata dal ceto medio all’inferiore, dall’altra, viceversa, solo lo 0,8% è riuscito a salire da quello medio al superiore. Questo declino verso la povertà, dopo la pandemia, ha riguardato oltre 55 mila famiglie solo tra quelle prese in esame. Un altro 2% (10.992 nuclei) ha subito un declassamento dal ceto superiore a quello medio. In poche parole, una famiglia su otto negli ultimi quattro anni ha fatto esperienza di una compressione del reddito disponibile. La crisi non solo ha eroso i redditi, ma ha anche allargato la forbice tra le aree del Paese e tra le fasce sociali, hanno spiegato le Acli.

In pratica la classe media è troppo “ricca” per avere aiuti dallo Stato e troppo povera per poterseli assicurare.

Ma come si è arrivati a questa situazione? Molte sono le cause, ne cito solo qualcuna tra le più recenti, che hanno inciso in maniera drastica sui redditi disponibili del ceto medio. La prima: le varie sentenze della Corte Costituzionale che nel giro di 11 anni hanno bloccato reiteratamente il meccanismo di rivalutazione delle pensioni di importo oltre 4 volte il minimo (cioè oltre 1.500 euro mensili che sarebbero le cosiddette pensioni d’oro !!).

Ricorda il bravo Alberto Brambilla che la Corte Costituzionale si è espressa con la sentenza n. 19 del 2025 dichiarando legittimo il meccanismo di raffreddamento della rivalutazione per fasce di reddito, previsto dalla Legge di Bilancio 2023 “…” Esattamente come aveva fatto con la sentenza n. 234 del 9/11/2020 concernente il prelievo sulle pensioni più alte e la mancata indicizzazione promossa dal governo Conte-Salvini (per pagare il reddito di cittadinanza e Quota 100 che costarono una enormità), e come già accaduto con la sentenza n. 116 del 2013 sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 483, 486, 487 e 590 della Legge di Stabilità n.147 del 27/12/2013 che prevedeva, per il triennio 2014-2016, un contributo di solidarietà» del 6% sugli importi lordi annui da 14 a 20 volte il trattamento minimo INPS annuo (TM), del 12% da 20 a 30 e del 18% sugli importi superiori a 30 volte il TM (poco meno di 50mila poveri vecchietti).

Inoltre – solo per fare un altro esempio – altre penalizzazioni derivano dalla riforma fiscale del 2023, che ha introdotto una franchigia di 260 euro sull’importo complessivo delle detrazioni spettanti per gli oneri detraibili al 19%.

Il provvedimento, di fatto annulla il beneficio netto per chi ha visto una riduzione dell’aliquota Irpef, grazie all’accorpamento dei primi due scaglioni. In altre parole, il vantaggio fiscale ricevuto mensilmente viene compensato in sede di dichiarazione con un minor rimborso in fase di conguaglio pari, appunto, a 260 euro. Per giunta a partire dalla prossima dichiarazione (quella cioè relativa ai redditi del 2025), la stretta sarà ancora più incisiva: oltre alla riduzione forfettaria da 260 euro già in vigore, scatterà anche una nuova penalizzazione per i redditi che superano i 75 mila euro lordi annui. Ciò significa che chi sostiene costi per l’istruzione dei figli, per il trasporto pubblico o per altri servizi detraibili, vedrà ulteriormente ridotto l’ammontare del rimborso Irpef, neutralizzando così l’effetto della riduzione delle aliquote.

Per concludere, mi sembra importante ricordare che da sempre i governi di centro-destra a differenza di quelli di centro-sinistra hanno cercato di tutelare il ceto medio; infatti: le mancate rivalutazioni iniziano con il governo Prodi che, nel 1997, azzera fino alla fine della legislatura (governi D’Alema e Amato) l’adeguamento delle pensioni di importo superiore a 5 volte il minimo. Si ritorna alla normalità nel periodo 2001/2006 (governi Berlusconi) ma già nel 2008 la rivalutazione delle pensioni sopra 8 volte il trattamento minimo viene azzerata, ancora dal governo Prodi; con il governo Berlusconi e fino al 2011 i pensionati ricevono la loro regolare rivalutazione sulla base della legge 388/2000 (100% per importi fino a 4 volte il TM; 90% da 4 a 5 volte il TM e 75% oltre), poi con i successivi governi Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte 1 e Conte 2 arrivano pesanti penalizzazioni.

Da questa storia si rileva chiaramente quali siano le forze politiche abbiano sempre cercato di tutelare il ceto medio e quali no. Per questo giustamente Giorgia Meloni vuole continuare su questa strada.

 

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