Il rilascio di Silvia Romano, la cooperante rapita in Kenya nel 2018 e poi venduta ai terroristi di Al Shabaab, per la cui liberazione taluni ritengono sia stato pagato un riscatto, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il tema relativo al finanziamento del terrorismo internazionale.
Il rapimento a scopo di riscatto, tuttavia, è solo uno dei vari metodi utilizzati per ottenere risorse finanziarie.
Come si finanziano dunque i terroristi?
È noto che non può esistere un’organizzazione di successo senza adeguate risorse finanziarie e i gruppi terroristici non sono esenti da tale assunto. Essi necessitano di denaro per soddisfare esigenze quali il reclutamento e l’addestramento di personale, l’approvvigionamento di armi, la logistica, la ricerca del consenso popolare, il governo dei territori, l’attuazione degli attacchi. Le indagini svolte dalle forze di polizia e di intelligence hanno rilevato l’esistenza di una pluralità di forme di finanziamento. Tra queste, oltre all’utilizzo di carte prepagate e all’impiego di cash couriers, rientra l’invio di denaro attraverso agenzie di money transfer che, soprattutto nei paesi legislativamente meno evoluti, non sono compliant alle più basilari norme antiriciclaggio, oppure mediante i cd. Informal Value Transfer Systems, che operano al di fuori dei normali circuiti bancari e finanziari. Il più utlizzato è l’hawala, un antico sistema fiduciario, utilizzato soprattutto in Medio Oriente, Africa e Asia, ma illegale in Italia, in cui la transazione è realizzata senza un reale spostamento di moneta. Tali sistemi sono preferiti per l’assenza di controlli, i loro costi contenuti e soprattutto per la garanzia di anonimato che offrono.
Ulteriori modalità di finanziamento, particolarmente remunerative, consistono nel traffico di stupefacenti, di armi, di petrolio, di essere umani, di antichità, nonché nel sequestro di persone, navi e aerei, nel racket e nelle estorsioni. Alcune ricerche hanno dimostrato come nel 2015 ISIS riuscisse a guadagnare circa 1.5 mln di dollari al giorno solo attraverso il traffico di petrolio.
Dal punto di vista investigativo il principio “follow the money” si è rivelato vincente per smantellare o indebolire le principali organizzazioni terroristiche, soprattutto attraverso lo strumento del congelamento dei fondi dei cd. “soggetti designati”. Ciò grazie ad una adeguata produzione normativa internazionale (ONU e UE) e all’azione di organismi deputati al contrasto di tali fenomeni come il Financial Action Task Force e le Financial Intelligence Unit degli Stati aderenti alle regole internazionali in materia.
A livello nazionale, l’Italia è intervenuta attraverso una serie di norme tra cui spiccano la Legge n.7/2003 di ratifica della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo del 1999, il Dlgs. n. 109/2007 recante Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l’attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale, e la più recente Legge n.153/2016 con la quale è stato introdotto, all’art. 270 quinquies.1 c.p., il nuovo reato di Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo.
Nonostante l’apparente silenzio delle principali organizzazioni terroristiche, risulta necessario mantenere sempre alta la guardia nei confronti di gruppi in grado di ottenere risorse da più fonti, rafforzando i già esistenti strumenti giuridici, investigativi e di intelligence in un quadro di maggiore cooperazione tra Stati.
In tale contesto, l’Italia rappresenta un punto di riferimento per l’intera comunità internazionale e questa è un’evidenza di cui, nei vari dibattiti, è importante tener conto.