Leone XIII era un Papa già avanti negli anni quando fu eletto al soglio pontificio, il 20 febbraio 1878, quindi a 68 anni, essendo nato nel 1810. Egli che doveva essere perciò un Papa di transizione, invece fu determinante nella sfida alla modernità, scendendo sul suo stesso terreno. Oltre perciò alle sue numerose encicliche, soprattutto quella che affrontò la cosiddetta questione sociale, la “Rerum Novarum”, creò un Centro studi di eminenti studiosi riuniti nell’Accademia delle Conferenze storico-giuridiche che avrebbe dovuto approfondire il diritto romano, il diritto civile e il diritto economico, il diritto cioè della società e quello della Chiesa, comparandoli tra loro e traendone il meglio da ciascuno. Promosse una rivista di altissimo livello come Studi e documenti di Storia e di diritto, sulla quale scrivevano i più conosciuti docenti e ricercatori del tempo, cattolici e laici da Camillo Re a Salvatore Talamo, da Ilario Alibrandi a Giuseppe Gatti. Si insegnavano all’Accademia: economia, sociologia, neuropsichiatria forense, diritto cambiario e commerciale e furono introdotte le discipline scientifiche più moderne. Ed al Seminario di Roma si insegnava nientemeno che ipnotismo e medicina legale. Questo fervore di studi portò prima alla stesura dell’Enciclica Aeterni Patris nel 1879, alla cui redazione collaborarono anche il fratello del Papa, Giuseppe Pecci, docente all’Apollinare ed all’Accademia delle Conferenze, sulla riscoperta ed il rilancio della filosofia di San Tommaso. Diceva il Papa “bisogna risalire, risalire più che si può alle fonti”. Questa attività portò alla istituzione di nuove cattedre preso il Seminario Maggiore di Roma, come quella di fisica sperimentale. Portò, ancora, alla apertura degli Archivi Vaticani, con l’istituzione di una Scuola di Paleografia e Diplomatica, ed al potenziamento della Biblioteca Vaticana, introdusse perfino l’uso delle conferenze stampa, alle quali partecipavano centinaia e centinaia di giornalisti: ad una del 1879 ne furono presenti altre mille, un numero esorbitante ed impensabile per quei tempi. La Rerum Novarum, dunque, come sottolineò Rocco Buttiglione nella prefazione ad una mia piccola opera sulla Dottrina Sociale della Chiesa che vide la luce in occasione del centenario di quella enciclica, non può essere letta indipendentemente dalle altre encicliche di Papa Pecci e soprattutto senza l’enciclica Libertas, che anche Giovanni Paolo II ricordò in un suo documento. Essa perciò completava il panorama degli interventi del Magistero sui vari aspetti della vita della Chiesa, del cittadino, della società. In tal modo il Papa rivendicava alla Chiesa in un periodo – come ricordò Giovanni Paolo II nella sua Centesimus Annus – nel quale il diritto-dovere della Chiesa di dare giudizi ed orientare l’attività sociale e politica era ben lungi dall’essere accettato, il compito originario affidatole da Cristo di concretizzare la sua missione evangelizzatrice nell’annuncio anche della sua dottrina sociale. In un tempo in cui, da un canto, il socialismo voleva sradicare completamente dal cuore dell’uomo e dalle viscere della società il senso religioso, ed il liberalismo, dal canto suo, intendeva neutralizzare il messaggio evangelico, rendendolo un sentimento intimo ed ininfluente nella società, rinchiudendolo nel privato dell’uomo. In effetti in ogni epoca la Chiesa madre e maestra ha annunciato non solamente la verità rivelata, ma anche denunciato le situazioni di ingiustizia ed ha dato consigli ed orientamenti per cambiare l’uomo e la società. Così come aveva insegnato Gesù Cristo fin dalle sue prime predicazioni. Ma da quel momento, da quel 1891 con la Rerum Novarum, la Dottrina Sociale della Chiesa si svilupperà, “osservando, giudicando ed agendo”, come ripeteva Pio XI. E tutti i Pontefici, riprendendo la metodologia proprio della Rerum Novarum, hanno sempre denunciato con forza le ingiustizie indipendentemente dalle ideologie, dalle dottrine e dai sistemi economici, che di tempo in tempo si sono andati affermando nel mondo. E proprio in relazione alle cose che non vanno nel mondo, sia nei paesi più liberi e ricchi che in quelli più oppressi e poveri, i Papi con il loro magistero hanno suggerito soluzioni e rimedi, puntando sulla responsabilità personale e andando direttamente al cuore dell’uomo.
Cento e più anni fa, in tutta la seconda metà dell’Ottocento vi fu un’aggressione senza precedenti al cristianesimo ed un tentativo di soffocamento culturale compiuto sotto l’egida formale delle libertà civili e all’insegna della religione del progresso. A quella aggressione la comunità ecclesiale ed il mondo cattolico nel suo insieme seppero reagire con un insospettato vigore. Ci fu una straordinaria fioritura di vocazioni religiose e la presenza cattolica nella società si fece più capillare, come abbiamo già ricordato. In quel contesto si collocò il Magistero di Leone XIII che nasceva dalla volontà di risposta a quell’attacco ed offriva una originale e nuova soluzione ai problemi del tempo.
Anche oggi, come centoventi anni fa noi stiamo assistendo ad “un’aggressione al fatto cristiano di una virulenza senza precedenti” quindi ancora più radicale di quella del secolo XIX.
Infatti il nuovo Papa Leone XIV ha detto: “Anche oggi non sono pochi i contesti in cui la fede cristiana è ritenuta una cosa assurda, per persone deboli e poco intelligenti; contesti in cui ad essa si preferiscono altre sicurezze, come la tecnologia, il denaro, il successo, il potere, il piacere. Si tratta di ambienti in cui non è facile testimoniare e annunciare il Vangelo e dove chi crede è deriso, osteggiato, disprezzato, o al massimo sopportato e compatito. Eppure, proprio per questo, sono luoghi in cui urge la missione”.
Per questo il Santo Padre invita i cristiani a non sottovalutare la forza della fede «la cui mancanza porta spesso con sé drammi come la perdita del senso della vita, l’oblio della misericordia, la violazione della dignità della persona nelle sue forme più drammatiche, la crisi della famiglia e tante altre ferite di cui la nostra società soffre e non poco». Per giunta, attualmente, l’avanzata dell’intelligenza artificiale rappresenta un rischio per la stessa sopravvivenza dell’umanità.