venerdì, 30 Maggio, 2025
Attualità

Le nuove frontiere dell’Intelligenza Artificiale

Una macchina che esegue le stesse mansioni dell’uomo con la stessa competenza. Questo è L’“Intelligenza Artificiale Generale”. A questo punto ci potremo fermare mai? E chi potrebbe fermare questa tendenza cosi accelerata?

Già oggi abbiamo accettato che anche le macchine possono essere intelligenti, delegando loro un numero crescente di decisioni.

Così l’ambizione dei ricercatori va aumentando sempre più in una vertigine faustiana, nella convinzione che è possibile che una macchina svolga gli stessi compiti intellettuali degli esseri umani.

Inizialmente si trattava di compiti semplici, come collegare delle nozioni elementari per rispondere ad esempio a domande di storia o geografia. Dallo scorso autunno, una nuova generazione di metodi ha raggiunto gli esseri umani anche in compiti più complessi.

Ed oggi vogliamo che la macchina faccia ancora altro e di più. E’ una sfida continua. La storia degli ultimi anni di rapido progresso è la storia di questa competizione e di questo inseguimento tra l’uomo e la macchina.

Gli esami continui a cui sottoponiamo le macchine ci portano in territori sempre più impervi per la mente umana.

Cosa c’è al di là dei nostri limiti? E chiediamoci come controllare un’intelligenza superiore alla nostra, e come conviverci con questa che si chiama «Artificial Super Intelligence» o «Super Intelligenza Artificiale».

Chiediamoci ora quale è l’atteggiamento degli italiani nei confronti dell’AI generativa. Cosa ci attrae e cosa ci spaventa? La Swg, società di ricerche, ha svolto sondaggi dal marzo 2023, a pochi mesi dall’esordio (novembre 2022) di quella che sarebbe stata l’app più rapida della storia (100 milioni di utenti attivi mensili in due mesi). Cosa è cambiato in questi due anni? I sentimenti sono contrastanti: curiosità, stupore, necessità di conoscenza ma anche diffidenza e paura dell’ignoto. A marzo 2023 lo stato d’animo prevalente è la paura: l’AI generativa “sopprimerà molte forme di lavoro”, “renderà gli uomini dipendenti dalle macchine”, “non potrà sostituire i lavori creativi”. Il 59% degli intervistati ritiene che questi nuovi sistemi basati sull’AI pongono grandi problemi etici, sociali e politici che devono essere regolamentati.

A maggio 2024 un giovane (18-34 anni) su due è convinto che l’intelligenza artificiale contribuirà all’innalzamento dei livelli generali di benessere e due su tre credono che con questa tecnologia potremo affrancarci dalle mansioni più ripetitive. Nel 2025, lo zoccolo duro degli ottimisti permane (51%) ma una quota crescente dell’opinione pubblica (il 41%, + 12% negli ultimi due anni) mostra preoccupazione. Secondo questa indagine Swg, in particolare, la percezione dell’AI sta cambiando e mentre persistono preoccupazioni legate al mercato del lavoro (38%), con il limite che ciò che cerchiamo e ci gratifica di più oggi è anche ciò che ci spaventa, i giovani sono aperti: il 57% degli under 35 valuta l’AI positivamente, la metà ritiene possa contribuire all’innalzamento del benessere generale, e il 66% considera che questa tecnologia potrebbe liberare dalle mansioni più ripetitive.

Diventa fondamentale l’esercizio di competenze trasversali come creatività, spirito critico e capacità di porre giuste domande che, associate alle applicazioni tecnologiche, contribuiranno a valorizzare l’apporto umano.

Secondo Swg uno strumento come ChatGpt è utilizzato principalmente per aumentare la produttività (36%); per il 60% dei giovani ll’AI potrebbe aumentare il tempo libero, e per, il 56% potrebbe favorire una migliore conciliazione vita-lavoro.

Sale però il timore che ci vengano tolte responsabilità e competenze. D’altro canto c’è chi guarda con positività il fenomeno ed è preso da un entusiasmo e da un vero e proprio amore per le macchine. Ma questo amore potrebbe essere assai pericoloso e cadere in un atteggiamento patologico, un attaccamento eccessivo che potrebbe portare all’isolamento sociale, alla dipendenza dai social media. Così facendo si arriva rispetto al possesso e all’uso della macchina, al punto di amarne potenza, prestazioni, sovrumane capacità.

Però anche l’eccesso opposto, cioè il rifiuto dell’IA, ha i suoi rischi: in una società altamente tecnologica, in cui le macchine svolgono già un ruolo importante e, spesso, insostituibile, non possiamo rischiare di essere messi fuori gioco da altri competitori che le sanno usare meglio di noi. E’ necessario perciò conoscerle, utilizzarle per trarre il massimo beneficio da esse, evitando qualsiasi coinvolgimento emotivo.

Voglia di miglioramento SI, dunque, ma non con un coinvolgimento emotivo ed un attaccamento eccessivo.

Oggi ci troviamo nel mezzo di una trasformazione digitale radicale, che sta cambiando la vita di persone e popoli.

Anche perché è nata una vera e propria nuova ideologia: il Cyberlibertarianismo. In questa prospettiva si fonda un entusiasmo quasi fanatico con idee libertarie radicali di libertà, vita sociale, economia e politica nell’era digitale.

Si tratta di una condivisione di un tipo di determinismo tecnologico secondo il quale la tecnologia digitale sarebbe il nostro destino, ponendo enfasi sulla necessità per gli individui di liberarsi da ogni vincolo che possa ostacolare la ricerca del proprio interesse personale. Si ha la fiducia che il regno digitale offra infinite opportunità per raggiungere ricchezze, potere e piacere sensuale. Le strutture ereditate di organizzazione sociale, politica ed economica, viste come barriere all’esercizio del potere personale e all’autorealizzazione dovranno perciò essere abbattute.

Questa nuova scuola di pensiero ritiene che la tecnologia digitale genererà livelli di ricchezza senza precedenti e crede che l’essere digitale possa “appiattire organizzazioni, globalizzare la società, decentralizzare il controllo e aiutare ad armonizzare le persone”.

In questo nuovo contesto sociotecnologico, l’autorità del governo centralizzato e delle burocrazie semplicemente svanirà. La democrazia del cyberspazio “darà potere a chi è più vicino alla decisione”, quindi ad una ristretta minoranza.

Il concetto di cyberspazio viene interpretato non come un bene comune, ma semplicemente come proprietà privata, e le entità private che ha in mente questa nuova ideologia sono in realtà grandi aziende transnazionali, specialmente nel settore delle comunicazioni.

Ciò porta a maggiori concentrazioni di potere sui canali di informazione e sul contenuto che veicolano. Mai come oggi vediamo come questa concentrazione pone seri problemi per una società democratica, quando poche organizzazioni controllano il potere.

E questo tipo di società digitale che vogliamo?

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