Nella giornata di ieri, la spirale del conflitto israelo-palestinese ha vissuto una nuova escalation, tra decisioni politiche, tragedie umanitarie e uno spiraglio diplomatico in arrivo da Washington. Ieri il governo israeliano ha annunciato l’autorizzazione di 22 nuovi insediamenti in Cisgiordania, tra cui diversi avamposti fino a oggi costruiti senza approvazione ufficiale. Una mossa che, secondo il ministro della Difesa Israel Katz, “rafforza la nostra presa su Giudea e Samaria” e rappresenta “una risposta schiacciante al terrorismo palestinese”. Katz ha descritto l’operazione come una strategia per impedire la nascita di uno Stato palestinese, considerato una minaccia esistenziale per Israele. Tuttavia, la decisione è stata immediatamente condannata da gran parte della comunità internazionale. Il viceministro degli Esteri britannico Hamish Falconer ha definito l’iniziativa israeliana “un deliberato ostacolo alla pace e alla creazione di uno Stato palestinese”. Su X ha ribadito la posizione storica del Regno Unito: “Gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, mettono a rischio la soluzione dei due Stati e non proteggono Israele”.
Gaza: 44 morti, fame e disperazione
Mentre si discute di insediamenti, a Gaza si continua a morire. La Protezione Civile della Striscia ha confermato che 44 persone sono state uccise negli ultimi raid israeliani, tra cui 23 in un singolo attacco a un’abitazione nel campo profughi di Al-Bureij.Intanto la catastrofe umanitaria è fuori controllo. Il World Food Programme ha confermato che migliaia di persone affamate hanno assaltato un magazzino di aiuti a Deir al-Balah. Almeno due persone sono rimaste uccise e molte ferite, mentre si sparava tra la folla. Non è chiaro da dove provenissero i colpi. Inoltre aumenta il numero di operatori dei media uccisi nel conflitto: Moataz Mohammed Rajab, cameraman e redattore del canale Al-Quds al-Youm, è stato ucciso ieri in un raid sulla città di Gaza. Il bilancio sale così a 221 giornalisti uccisi dall’inizio delle ostilità. L’Ufficio stampa di Gaza denuncia una “campagna sistematica” di eliminazione dei reporter e chiede un intervento legale urgente della comunità internazionale. In questo clima,durante il discorso all’Assemblea Generale dell’ambasciatore palestinese Riyad Mansour è scoppiato in lacrime mentre parlava dei bambini morti di fame e sotto le bombe, ha detto: “Ho dei nipoti, so cosa significa per una famiglia perdere un figlio”.
Metsola: “Gaza è una catastrofe inaccettabile”
Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, ha definito la situazione nella Striscia “tragica e catastrofica”. Durante un incontro con gli studenti dell’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato la necessità di lavorare contemporaneamente su tre fronti: cessate il fuoco, rilascio degli ostaggi e rilancio del processo di pace per due Stati. “Ma prima di tutto – ha detto – dobbiamo riconoscere il disastro umanitario in corso”.
Proposta Usa: 60 giorni di tregua e nove ostaggi
Nel tentativo di spezzare il ciclo della violenza, Washington ha consegnato a Israele e Hamas una nuova bozza di accordo per una tregua temporanea. Secondo le indiscrezioni rilanciate dai media israeliani, la proposta prevede il rilascio di nove ostaggi ancora vivi e 18 corpi, in cambio di un cessate il fuoco di 60 giorni. Durante questo periodo si svolgerebbero i negoziati per un’eventuale fine del conflitto. La proposta, trasmessa tramite l’inviato speciale americano Steve Witkoff, attribuisce all’ONU la gestione esclusiva degli aiuti umanitari, mentre l’esercito israeliano dovrebbe ritirarsi dalle aree occupate nell’ultima offensiva. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, figura chiave dell’estrema destra israeliana, ha definito “pura follia” firmare un accordo parziale con Hamas. “Non permetterò che una cosa del genere accada”, ha scritto. A rispondergli, pur senza nominarlo, è stato il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar, che ha invitato il governo a prendere decisioni “sulla base dell’interesse nazionale, non di pressioni politiche”.
Iran e Golfo: Arabia Saudita, Qatar ed Emirati avvertono Trump
Il quadro mediorientale si complica ulteriormente con le dichiarazioni dei leader di Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, che hanno ribadito a Donald Trump la loro ferma opposizione a un attacco militare contro l’Iran. I tre alleati temono ritorsioni sui loro territori, dove sorgono basi americane. “Se salta la diplomazia, saremo noi a pagare il prezzo”, avrebbe detto l’emiro del Qatar. Trump, secondo le fonti, avrebbe invitato Netanyahu alla prudenza e dichiarato di puntare a un nuovo accordo con Teheran entro due settimane. Intanto ha accantonato il progetto di rinominare il Golfo Persico in “Arabian Gulf” per evitare inutili provocazioni.