L’ora della verità si avvicina per il nostro Paese. E sarà una verità sicuramente meno ambigua dei nomi utilizzati per etichettare i decreti legge.
Se fosse “vero” il nome di alcuni provvedimenti normativi non ci troveremmo dove siamo. Il “cura Italia” doveva somministrare una medicina urgente per immettere liquidità, ma – per ammissione anche dello stesso Governo – i soldi tardano ad arrivare nella forma di crediti garantiti dallo Stato.
Con il “decreto rilancio” ci si aspettavano misure ispirate da una visione organica di politica industriale per far ripartire col turbo un’economia ferma da tre mesi. E invece siamo di fronte ad un “decreto risarcimento”, una massiccia erogazione di fondi, per la quasi totalità, nell’ottica di rimediare almeno in parte ai danni economici subiti da famiglie, lavoratori, professionisti, commercianti e aziende.
A breve arriverà il “decreto semplificazioni” che dovrebbe disboscare la giungla di norme che impediscono ai privati di creare ricchezza e lavoro e allo Stato di spendere in opere pubbliche i soldi già stanziati.
Ma basterà? No. Quello che manca è un pacchetto organico di misure per dare una spinta fortissima all’economia con interventi mirati, e non solo paracadutati con l’ helicopter money. Per fare questo, il governo deve avere un’idea e un progetto che non sia la nazionalizzazione e la partecipazione dello Stato in varie imprese. La commissione presieduta da Colao poterebbe-come abbiamo scritto più volte- essere il think thank tecnico capace di delineare la strada. Ma finora non pare che Conte abbia deciso di affidarle questo compito.
Eppure è evidente a tutti che il più grande rischio che corre l’Italia è quello di trovarsi, per il dopo virus, in condizioni di forte svantaggio rispetto ad altri Paesi che hanno approfittato della pandemia per risistemare i loro comparti industriali deboli, ridisegnare le catene del valore e mettersi in condizioni di poter ripartire meglio organizzati di prima e anche meno dipendenti da rapporti commerciali con altri Paesi europei. Detto in soldoni, se durante la sospensione delle regole europee sul divieto degli aiuti di Stato la Germania spende più di 1000 miliardi per il suo sistema produttivo, la Francia circa 400 e noi non si sa ancora quanto né come, l’Italia si ritroverà in enormi difficoltà.Dovrà recuperare un tonfo del PIL più profondo degli altri e ripartire svantaggiata rispetto a chi ha rimesso ordine nella sua macchina produttiva.
Perché il Governo italiano è così timido, in ritardo sugli altri e privo di coraggio? Probabilmente anche perché aspetta di vedere cosa succederà del Recovery Fund, il grande progetto – ancora sulla carta – di un fondo capace di mobilitare almeno 1500 miliardi per aiutare in forma asimmetrica le economie europee.
È questa la vera ultima spiaggia di Conte. Il sostegno monetario della BCE aiuta a tenere a bada gli spread, i 20 miliardi del programma SURE aiuteranno in buona parte la Cassa integrazione, i fondi della BEI saranno una boccata d’ossigeno per alcuni investimenti, i 36 miliardi del MES che finiremo per doverci prendere finanzieranno a tassi irrisori la risistemazione della sanità. Ma la vera polpa è nelle centinaia di miliardi del Recovery Fund che Conte si aspetta. Arriveranno? E quando? e in che misura? La partita è tutta qui. E non riguarda il futuro di questa maggioranza o del presidente del Consiglio. In gioco è la sopravvivenza dell’Italia come potenza economica o la sua retrocessione definitiva nella serie B delle economie mondiali, con uno spaventoso impoverimento collettivo degli italiani..
L’Italia ha un piano B se il Recovery Fund non dovesse dimostrarsi quello che il Governo si aspetta? Non certo un piano B non come quello attribuito al prof. Savona, un’ uscita rocambolesca dall’euro in un weekend.
Stiamo parlando di qualcosa di serio e di rilevanza strategica. Si sentono in giro voci avventuriere che immaginano un ‘Italia negletta in Europa che si appoggia alla Cina o alla Russia. Alcuni rapporti preferenziali tra certe forze politiche e questi regimi lasciano intendere che si stia da tempo lavorando sottobanco per creare un’alternativa all’ancoraggio dell’Italia all’Europa.
Non si sente nessuna voce che ricordi all’Italia la sua collocazione internazionale – non solo militare – nell’ambito dell’Occidente e il suo rapporto speciale con gli Stati Uniti d’America. Non si capisce perchè l’Italia debba rinunciare, proprio in queste circostanze, a rilanciare la sua amicizia e cooperazione con la grande democrazia americana invece di strizzare l’occhio a regimi autocratici con cui abbiamo poco in comune.
Un’Italia debole in Europa ma con forti rapporti con gli Stati Uniti potrebbe davvero fare la differenza, riequilibrare i rapporti di forza nel vecchio Continente e ridare slancio anche ad una diversa presenza strategica americana nello scacchiere mediterraneo, sfuggito di mano e preda di iniziative di turchi, varie fazioni arabe, con la supervisione di Putin.
L’Italia non sia timida e non si aspetti troppo dai partner europei. Giochi la propria partita internazionale con autonomia, coraggio e saggezza sapendo che oltre l’ultima spiaggia europea c’è una sponda di là dell’atlantico tutta da riesplorare.
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