Quella che doveva essere una serata di festa, la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, si trasformò in un incubo in mondovisione. Prima ancora del calcio d’inizio, nella curva Z dello stadio, assegnata ai tifosi neutrali ma occupata in gran parte da juventini, si consumò una tragedia che ancora oggi lacera il cuore del calcio europeo: 39 morti, centinaia di feriti, una ferita aperta che il tempo non ha saputo cancellare. Il docufilm “Heysel 1985”, in onda stasera alle 21.20 su Rai 2, ricostruisce quella drammatica giornata con un racconto corale e toccante, composto esclusivamente dalle voci di chi all’Heysel c’era. Calciatori, tifosi, giornalisti, sopravvissuti e familiari delle vittime offrono una testimonianza diretta, autentica, spesso straziante, che riporta alla luce l’umanità dietro i numeri. Un’opera realizzata con materiali d’archivio Rai, filmati amatoriali inediti e nuove interviste, con la partecipazione diretta di Juventus e Liverpool.
Tra i protagonisti delle interviste ci sono i calciatori bianconeri Stefano Tacconi, Zibi Boniek e Beniamino Vignola, il difensore del Liverpool Mark Lawrenson, l’arbitro svizzero Daina – rintracciato in Svizzera dagli autori – e storici cronisti come Carlo Nesti e Marino Bartoletti. C’è anche Terry Wilson, uno degli hooligan condannati per quegli scontri, a dimostrazione della volontà di esplorare ogni sfaccettatura di quella notte maledetta.
Storia complessa
“Ci ho pensato molto in questi mesi”, confessa Antonio Plescia, coautore con Giuseppe Colella. “A come rispettare il dolore degli altri, quel dolore che un po’ diventa anche il tuo, e a come maneggiare una storia così complessa e straziante. Un sogno che è diventato incubo una sera di 40 anni fa. Una festa che si è trasformata in strage”. Girato tra Italia, Belgio, Regno Unito e Svizzera, il docufilm, prodotto da Verve Media Company in collaborazione con Rai Documentari e diretto da Alessandro Galluzzi, è un tributo a quelle 39 vite spezzate. Ma è anche un ammonimento: il calcio, e lo sport in generale, deve unire, non distruggere.
Grazie alla collaborazione con l’Associazione Vittime Heysel, sono state raccolte testimonianze di chi ha perso un figlio, un fratello, un amico. E di chi è sopravvissuto ma porta ogni giorno il peso di quella notte.
Il ricordo
“Heysel 1985” non cerca colpevoli né assoluzioni, ma si propone di ricordare. Perché la memoria è l’unico modo per impedire che una simile tragedia si ripeta. E perché, come afferma Plescia, “raccontare serve sempre a qualcosa. Questa storia è per chi l’ha vissuta e la vive ancora, per chi non la conosce ed è soprattutto per la memoria delle vittime. 39 persone che, inseguendo la propria passione, hanno perso tragicamente la vita in quel maledetto settore Z”.