Una decisione, quella presa ieri dal Consiglio dei ministri, che di certo farà parlare anche nei prossimi giorni: la legge approvata dal Consiglio provinciale di Trento, che permette al Presidente della Provincia di ricandidarsi per un terzo mandato consecutivo, sarà impugnata davanti alla Corte costituzionale. Una scelta che ha acceso un caso politico destinato a lasciare il segno, non solo nei rapporti tra il governo e le autonomie speciali, ma anche all’interno della stessa maggioranza guidata da Giorgia Meloni. La decisione, infatti, ha visto il dissenso esplicito e formale dei ministri della Lega, alleati di governo, ma contrari all’impugnazione. Il Vicepremier Matteo Salvini non ha usato mezzi termini per esprimere il proprio dissenso. In Trentino, la Lega è forza di governo e sostiene il Presidente uscente Maurizio Fugatti, principale beneficiario della norma. Per il Carroccio, il via libera alla legge sul terzo mandato non solo è legittimo, ma è anche espressione di un diritto sancito dallo Statuto d’autonomia.
La legge contestata
La legge provinciale approvata a Trento modifica la normativa elettorale locale, portando da due a tre i mandati consecutivi che il presidente della Provincia autonoma può ricoprire. Un provvedimento che ha un impatto diretto su Fugatti, attualmente al suo secondo mandato, e apre la strada a una sua nuova candidatura nel 2028. Secondo i promotori della legge, tra cui la stessa Lega trentina, si tratta di una legittima espressione dell’autonomia legislativa garantita dallo Statuto speciale della Regione Trentino-Alto Adige, che conferisce competenza primaria su questioni elettorali. È su questo punto che si innesta lo scontro con il governo, che invece ritiene la norma in contrasto con i principi costituzionali generali, in particolare il principio di alternanza democratica e il bilanciamento dei poteri. Non è la prima volta che una Regione prova a modificare autonomamente i limiti dei mandati elettorali. La Sardegna, Regione anch’essa a statuto speciale, aveva adottato una norma simile, estendendo il limite di mandati per i sindaci. Ma in quel caso, la Corte costituzionale intervenne, giudicando la legge in contrasto con principi politici generali e quindi non compatibile con l’ordinamento costituzionale.
Un precedente che pesa anche sulla valutazione del caso trentino. Fonti vicine alla Corte lasciano intendere che anche in questo caso l’esito potrebbe essere simile, malgrado le particolarità dello Statuto trentino.
Il fronte leghista
Il Presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, ha parlato di un “atto istituzionale molto pesante contro le prerogative dell’autonomia trentina”. Una critica netta, condivisa anche dalle Parlamentari leghiste Vanessa Cattoi ed Elena Testor, che accusano il governo di voler equiparare la Provincia autonoma a una Regione ordinaria, violando così l’autonomia garantita dalla Costituzione e dallo Statuto speciale. “Contestare la legge sul terzo mandato equivale a violare i principi statutari della nostra autonomia”, hanno dichiarato. “Le Regioni a statuto speciale detengono una competenza legislativa esclusiva in tale ambito, come indirettamente riconosciuto dalla Consulta nella sentenza relativa alla Campania”.
Il Ministro leghista per gli Affari Regionali, Roberto Calderoli, ha difeso la linea del suo partito, sottolineando come la materia elettorale rientri nelle competenze primarie delle autonomie speciali. In Consiglio dei ministri, il suo dissenso è stato netto.
Una maggioranza spaccata
Il voto contrario della Lega in seno al Consiglio dei ministri è un fatto politico di rilevanza eccezionale. Una spaccatura che alimenta interrogativi sulla tenuta della coalizione di Centrodestra. Non è solo una divergenza di opinioni su un punto specifico, ma il sintomo di tensioni più profonde legate alla gestione dell’autonomia, alla distribuzione del potere e alla rappresentanza territoriale. Il Presidente dei senatori del PD, Francesco Boccia, ha colto l’occasione per denunciare la crisi interna alla maggioranza: “Oggi (ieri, ndr) il Cdm ha sancito la crisi di questa maggioranza. Un vicepremier che vota contro il proprio governo in un Paese normale si dovrebbe dimettere”.
Osvaldo Napoli, di Azione, è stato ancora più esplicito: “Quando la democrazia funzionava, l’esecutivo si presentava in Parlamento per sanare una ferita tanto rilevante sul piano politico. Ove ciò non fosse accaduto, il Presidente del Consiglio saliva al Quirinale. Nell’era Meloni, invece, tutto si riduce a uno show”.
L’altra faccia della crisi
Ad aggravare la tensione interna tra Lega e Fratelli d’Italia c’è anche un secondo fronte caldo: il caso Friuli Venezia Giulia, dove il Governatore Massimiliano Fedriga (Lega) si è visto revocare le deleghe agli assessori leghisti dalla giunta regionale. Una mossa interpretata come rappresaglia da parte di Fratelli d’Italia, in particolare del Ministro Ciriani, anche lui esponente friulano del partito del Premier. La Senatrice di Italia Viva Raffaella Paita ha parlato di “uno spettacolo indecente” che mette in dubbio la stessa esistenza del governo Meloni: “Quando si tratta di spartire poltrone, il discorso cambia. È evidente che la coalizione è divisa su tutto, dalla politica estera alla giustizia”.
La questione del terzo mandato arriva in un momento delicato anche sul fronte dell’autonomia differenziata. Lo stesso Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge delega per l’attuazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione), un passaggio cruciale per rendere effettiva l’autonomia richiesta da diverse Regioni. Ma, anche qui le critiche sono piovute copiose: nessuna garanzia sulle risorse, una delega considerata troppo ampia e generica, nessuna correzione delle osservazioni già sollevate dalla Consulta. “Una delega in bianco”, ha commentato Boccia, “con le solite formule che dicono che non inciderà sul bilancio. Tradotto: nessuna risorsa aggiuntiva, solo propaganda”.
Infrastrutture e turismo all’aria aperta
Da segnalare poi che sempre ieri il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge Infrastrutture, presentato da Salvini Si tratta di un provvedimento definito “urgente e strategico”, con l’obiettivo di accelerare la realizzazione delle grandi opere, snellire le procedure burocratiche legate ai contratti pubblici, migliorare l’efficienza del sistema dei trasporti e valorizzare il demanio, in linea con le scadenze del Pnrr e gli impegni europei. Il decreto introduce misure concrete per sbloccare i cantieri, semplificare le regole amministrative e garantire servizi di mobilità più efficienti per cittadini e imprese.
Tra le misure approvate rientrano anche novità rilevanti per il settore turistico, in particolare per il comparto dell’ospitalità all’aria aperta. Il Ministro del Turismo Daniela Santanchè ha sottolineato come, grazie al nuovo decreto, i villaggi turistici non dovranno più ottenere autorizzazioni singole dalle sovrintendenze per l’installazione di casette mobili o caravan. Basterà l’autorizzazione generale già concessa alla struttura. Una semplificazione che punta a incentivare uno dei segmenti turistici più in crescita, soprattutto al Sud, favorendo uno sviluppo armonico e sostenibile del turismo outdoor.