Londra è stata teatro di uno dei più rilevanti scandali di spionaggio degli ultimi anni. Sei cittadini bulgari, accusati di operare per conto della Russia, sono stati condannati a pene detentive tra sei e undici anni per aver condotto operazioni di sorveglianza su giornalisti, dissidenti russi e militari ucraini. Il gruppo, guidato da Orlin Roussev, aveva creato una rete di spionaggio altamente avanzata, utilizzando dispositivi di intercettazione, telecamere nascoste e strumenti sofisticati per disturbare segnali Wi-Fi e GPS. La polizia britannica ha descritto la residenza di Roussev come una vera e propria “caverna di Aladino”, colma di attrezzature spionistiche, tra cui dispositivi nascosti in occhiali da sole, penne e persino giocattoli di peluche. Uno degli aspetti più inquietanti dell’operazione era l’uso delle cosiddette “trappole al miele”, una tecnica che prevede l’adescamento di obiettivi sensibili tramite relazioni sentimentali o sessuali. Le indagini hanno rivelato che due membri del gruppo, Katrin Ivanova e Vanya Gaberova, avrebbero instaurato legami con agenti e diplomatici per ottenere informazioni riservate. L’attività del gruppo non si limitava al Regno Unito, ma si estendeva anche ad altri Paesi europei, tra cui Austria, Germania, Spagna e Montenegro. Gli agenti agivano sotto le direttive di Jan Marsalek, un cittadino austriaco ricercato dall’Interpol per frode e appropriazione indebita. Marsalek, noto per i suoi legami con l’intelligence russa, sarebbe stato il regista dell’intera operazione, coordinandola dall’estero. La condanna di Roussev e dei suoi complici rappresenta un duro colpo alle operazioni di spionaggio russe in Europa. Tuttavia, gli esperti avvertono che Mosca continuerà a sfruttare reti clandestine, utilizzando tecnologie innovative e strategie sempre più sofisticate per eludere i controlli di sicurezza occidentali.