A inizio 2025 la popolazione italiana in età lavorativa (15-64 anni) contava 37,3 milioni di individui. Secondo l’Ufficio studi della Cgia, basandosi sulle previsioni demografiche Istat, entro il 2035 questa “platea” si ridurrà di 2.908.000 unità, passando a 34,4 milioni: un decremento assoluto e in valore percentuale (−7,8 %) senza precedenti nella storia repubblicana. Un calo destinato a riguardare tutte le 107 province, dall’area metropolitana di Milano fino ai borghi più piccoli della Sardegna, confermando la natura trasversale di quello che ormai è un fenomeno nazionale. Il dato più allarmante è l’invecchiamento combinato a una natalità stagnante: la coorte dei giovani si assottiglia costantemente, mentre il corposo gruppo dei ‘baby boomer’ si avvia al pensionamento. Il risultato è uno ‘spopolamento’ della forza lavoro, che accentua la compressione demografica in tutte le ripartizioni geografiche. Nessuna provincia sarà esente: nel Nord-Ovest la contrazione media sfiorerà il −3 %, mentre nel Mezzogiorno si toccheranno picchi superiori al −15 % nelle aree interne.
Già oggi le imprese segnalano difficoltà crescenti nel reperire manodopera qualificata: dal comparto artigiano al tessile, dal turismo alle costruzioni, la scarsità di giovani rende ogni piano di espansione un’impresa ardua. Nel 2035 queste difficoltà si intensificheranno, e nessuna misura di breve termine (come incentivi ai nati, politiche per la fertilità o apertura ai flussi migratori) potrà invertire un trend strutturale che, per ragioni anagrafiche e socioculturali, richiederebbe decenni per mostrare effetti tangibili.
Le problematiche
Il declino demografico si sommerà alle instabilità geopolitiche, alla transizione energetica e alla rivoluzione digitale: un cocktail che rischia di frenare drasticamente il Pil nazionale. Con meno lavoratori attivi e una popolazione anziana sempre più numerosa, il rapporto tra pensionati e contribuenti diventerà insostenibile, con un inevitabile aumento della spesa previdenziale e assistenziale a carico dei conti pubblici. La riduzione della base imponibile, insieme all’aumento delle erogazioni sociali, potrebbe tradursi in un deficit strutturale difficile da colmare. Nel confronto tra aree geografiche, il Mezzogiorno registrerà la metà delle perdite complessive: delle quasi 2,9 milioni di unità perdute, circa 1,45 milioni riguarderanno Sud e Isole. La Sardegna subirà la flessione più drammatica (−15,1 %, pari a 147.697 persone), seguita da Basilicata (−14,8 %, −49.685) e Puglia (−12,7 %, −312.807). Al contrario, le regioni del Nord godranno di un rallentamento più contenuto: Trentino Alto Adige (−3,1 %), Lombardia (−2,9 %) ed Emilia-Romagna (−2,8 %) saranno le più ‘resistenti’ al cambiamento.
A livello provinciale spiccano i dati della Sardegna interna: Nuoro perderà il 17,9 % degli occupabili, Sud Sardegna il 17,7 %, Caltanissetta il 17,6 %, Enna il 17,5 % e Potenza il 17,3 %. In termini assoluti, però, è Napoli a registrare la contrazione maggiore, con −236.677 persone in meno; le realtà metropolitane del Nord, come Bologna (−1,4 %), Prato (−1,1 %) e Parma (−0,6 %), saranno meno colpite ma non immuni dal fenomeno.
L’impatto sulle imprese
L’impatto sulle imprese varierà per dimensione e territorio. Le Pmi, già allergiche ai piani di welfare e meno competitive sui salari, dovranno tagliare organici o rinviare progetti di sviluppo. In controtendenza, le grandi aziende potranno contare su pacchetti retributivi più generosi, benefit e orari flessibili, diventando così gli employer of choice per le nuove generazioni. Nel Mezzogiorno, dove i tassi di disoccupazione e inattività sono ancora elevati, un parziale ricorso alla forza lavoro ‘autoctona’ potrebbe tamponare le lacune, soprattutto nel turismo e nell’agroalimentare. Tra i pochi settori potenzialmente avvantaggiati da una società più anziana c’è quello bancario: gli over 65 tendono ad avere una propensione al risparmio superiore rispetto ai giovani, aumentando volumi di depositi e patrimonio gestito. In compenso, settori come l’immobiliare, la moda, la ristorazione e i trasporti dovranno fare i conti con una domanda interna in contrazione, penalizzata dalla minore spesa dei consumatori senior.