Il Ddl partecipazione ha avuto il via libera della commissione Lavoro del Senato, che ha dato mandato alla relatrice Paola Mancini (Fdi) di riferire in Aula di Palazzo Madama, presumibilmente in questa prima settimana di maggio.
In manovra sono stati stanziati 72 milioni per assicurare le coperture agli incentivi previsti. Per incentivare la partecipazione economica e finanziaria, nel 2025 sulla distribuzione ai lavoratori dipendenti di almeno il 10% degli utili complessivi è prevista l’applicazione di un’imposta sostitutiva del 5% dell’Irpef e delle addizionali regionali e comunali entro il limite di 5mila euro lordi. I piani di partecipazione finanziaria dei dipendenti possono prevedere anche l’attribuzione di azioni in sostituzione di premi di risultato e fino a 1.500 euro annui, sono esentasse per il 50% del loro ammontare.
Il testo prevede la possibilità di quattro tipi di partecipazione. 1) Gestionale nei consigli di sorveglianza se il modello d’impresa è duale; nei consigli di amministrazione, se il modello è tradizionale. 2) Economica, cioè la partecipazione dei lavoratori ai risultati d’impresa, anche attraverso l’azionariato. 3) Organizzativa, con il coinvolgimento dei lavoratori nelle decisioni dell’impresa. 4) Consultiva (pareri e proposte).
Queste forme di partecipazione si potranno realizzare con modifiche degli statuti che le imprese possono adottare qualora siano disciplinate dai contratti di lavoro. Sono previsti incentivi con una tassazione agevolata del 5% fino a 5 mila euro lordi sugli utili distribuiti. Inoltre, in caso di attribuzione di azioni al posto dei premi di risultato, sui dividendi c’è l’esenzione dalle imposte sul 50% dei dividendi stessi fino a un massimo di 1.500 euro.
Questa volta si è avuto anche il consenso degli imprenditori – anche se non entusiasta come si legge dalle stesse dichiarazioni – che tradizionalmente hanno sempre guardato con sospetto a questo tipo di proposte.
Il testo della proposta passato all’esame del Senato della Repubblica, dovrebbe definitivamente varato perché vigendo ormai un sistema monocamerale, ove la prima camera esamina il provvedimento e la seconda si limita a ratificare, quasi certamente non vi sarà la possibilità di presentare e far accettare alcun emendamento.
L’approvazione di questo provvedimento che molti di noi abbiamo vagheggiato e sognato per tutta la nostra vita e rappresenta un fatto storico anche perché, oltretutto, servirà ad eliminare il forte gap che ci separa da molte altre nazioni europee.
Le imprese italiane che hanno introdotto questo sistema partecipativo infatti non sono moltissime, come Campari che ha dedicato il “Camparista shares” ai dipendenti a tempo indeterminato a livello globale. Poi, solo per fare qualche esempio, c’è la Prysmian, che ha chiamato il programma di incentivazione “Value4all”, valore per tutti. Intesa Sanpaolo da tempo ha istituito il “performance share plan”, rivolto ai manager, e il “Lecoip 3.0”, destinato a tutti gli altri lavoratori ed entrato anche negli accordi con i sindacati, per “coinvolgere le persone nel raggiungimento degli obiettivi del Piano d’Impresa e condividere il valore creato nel tempo. Infine c’è EssilorLuxottica dove ci sono dipendenti azionisti di 86 Paesi. L’obiettivo è di sostenere la cultura e l’identità della società. Leonardo Del Vecchio prima e Francesco Milleri si sono fatti portatori dell’idea di EssilorLuxottica come “casa comune”.
Mai come oggi, proprio negli anni che vedono la crisi dei corpi sociali intermedi ed, in particolare, della politica, l’idea di coinvolgere i dipendenti nelle scelte, nelle responsabilità e nella ripartizione degli utili dell’impresa può e deve vivere la sua stagione del decollo e della realizzazione. Quella idea di patto solidale tra chi crea e chi alimenta il lavoro può rappresentare una svolta verso la modernità, nella quale solo l’unione di tutte le forze sociali può creare sviluppo con la mediazione non conflittuale dei corpi sociali intermedi. Solo la “partecipazione” infatti può respingere i ricatti della globalizzazione e la violazione dei diritti e delle professionalità personali.
La Dottrina sociale della Chiesa ha da sempre in sé le risposte che l’economia chiede alla politica, alla comunità, alle stesse famiglie e si sviluppa, nel segno della coerenza con un percorso di vita e di fede.
Gli insegnamenti dei Pontefici nelle encicliche, da Leone XIII in poi, hanno messo al centro l’uomo, ma anche il lavoro e il profitto eticamente sostenibile: categorie che possono convivere nell’idea di una società pluralistica, solidale ma anche produttiva, meritocratica, egalitaria nelle condizioni di partenza, ma non asfissiante nelle ambizioni individuali, libera ma anche fraterna. Quel pensiero “partecipativo” che la Dottrina sociale della Chiesa ha declinato dalla enunciazione di principio per farne progetto, idea, piattaforma “politica” risulta oggi più che mai essere di straordinaria attualità con l’approvazione alla Camera dei Deputati della legge sulla partecipazione.
Del resto già San Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Centesimus annus” aveva messo in evidenza che, per la prima volta, dopo oltre un secolo, si era registrata la saldatura tra mondo del lavoro e Vangelo che era stata determinante, sopratutto in Polonia, per la disgregazione del sistema comunista.
Ora questa saldatura si ripropone e si realizza partendo proprio dal mondo del lavoro con la legge sulla partecipazione.