La fragilità della bellezza e gli attentati che spesso la realtà riserva alla grazia sono espressi in maniera sublime in “Ho paura torero”, libro scritto nel 2001 da Pedro Lemebel, autore cileno appassionato, sovversivo e visionario, icona della letteratura queer. Nato povero e pervaso dal fortissimo bisogno di rivendicare il diritto alla libertà, Lemebel ci spiega il valore salvifico dell’ideale. “In casa mia non c’era nemmeno un libro – raccontava Lemebel – e se entrava un giornale, era avvolto intorno alla carne: carta macchiata di sangue”.
L’autore è morto nel 2015 lasciando opere di rara intensità. E proprio con una penna intrisa nella polvere e nel sangue lo scrittore è riuscito a creare uno stile capace di volare, attraverso la lieve ironia e la sottile malinconia dei suoi personaggi, come in questo caso “la fata dell’angolo”, travestito di mezza età, che ha fatto della sua casa un angolo di pace dentro i tumulti rivoluzionari.
La storia
Il romanzo è ambientato nel 1986 e prende vita dalla storia della “fata dell’angolo” innamorata dello studente Carlos (militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez), del generale Pinochet e della sua fedelissima Doña Lucía. Sullo sfondo una Santiago schiacciata dai pattugliamenti e dai blackout elettrici. Innamoratosi del libro, Lino Guanciale, ne ha curato l’adattamento teatrale riuscendo, insieme alla regia di Claudio Longhi, a dare vita a uno spettacolo forte, originale e al contempo rispettoso del genere romanzesco.
In tournée in tutta Italia, lo spettacolo ha debuttato al Teatro Argentina di Roma nel mese di aprile, mostrando in modo impeccabile come portare un romanzo sul palcoscenico. In questo modo gli attori in scena passano dalla narrazione in terza persona, come osservatori esterni di se stessi, alla narrazione intima, in prima persona. In quest’opera ogni dialogo diventa un monologo, ognuno parla a se stesso attraverso l’altro, cercando di dare un senso all’amore, alla vita e alla libertà.
I personaggi

Lino Guanciale incarna con eleganza e credibilità, senza mai scivolare in eccessi, il continuo travestimento di una donna prigioniera in un corpo maschile, che può concedere libertà alla sua femminilità solo dentro le mura di casa. In modo magistrale l’attore fa fiorire sulla scena la grazia della femminilità nella sua essenza, capace di accoglienza e delicatezza anche nei momenti di malinconico abbandono di una donna ormai avanti con gli anni, costretta a “lasciare la sua casa stringendo in grembo i suoi quattro stracci”.

Francesco Centorame, nel ruolo di Carlos, offre un’interpretazione degna di nota, soprattutto per la capacità di ben rappresentare l’incapacità giovanile all’introspezione, senza però riuscire a tenere il passo di un grandioso Guanciale. Arianna Scommegna è un’altra figura di spicco, nel ruolo di Doña Lucia, moglie petulante e strafottente, che, grazie a una performance sapiente e godibile, riesce a ridicolizzare la figura del generale Pinochet, interpretato da un abile Mario Pirrello. Astraendosi dai ruoli, le più o meno lievi differenze di spessore interpretativo tutte veicolano in modo perfetto il messaggio contenuto nel libro e nelle pièce teatrale: il bisogno che l’amore trionfi sulle violenze così come l’ironia sulla paura.
Il continuo dentro-fuori dalla casa alla città rende avvincente e serrata la narrazione, dando agli spazi pari dignità dei protagonisti, grazie anche a una scenografia ben calibrata. Pannelli di metallo che si aprono e si chiudono, trasformando costantemente lo spazio da privato a pubblico, da domestico a cittadino, conducono attraverso un viaggio nel tempo. “Credo sia importante – commenta il regista Claudio Longhi – l’invito costante a fare i conti con la storia e con ciò che è stato. Un’esortazione che sento necessaria in un presente che tende a soffrire di amnesia e rischia di essere un po’ esangue, perché non nutrito da alcuno spessore e privo di sedimentazione”.
Longhi si dimostra capace di animare uno scenario di contemporaneità, di per sé multiforme, parlando del 1986 come dei giorni nostri, dove sembra indicare altre guerre, altre dittature che uccidono amore, libertà e vita. “Sentiamo costantemente – continua il regista – il bisogno di frapporre dei filtri tra noi e il sentimento; all’opposto ‘Ho paura torero’ contiene uno slancio, un tuffo nell’emotività”.
“Ho Paura torero” è tratto dal libro di Pedro Lemebel, traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi. Trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian per la regia di Claudio Longhi. Dramaturg Lino Guanciale, con Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri, Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Sara Putignano, Giulia Trivero. Scene di Guia Buzzi, costumi di Gianluca Sbicca, luci di Max Mugnai. Visual design Riccardo Frati. Travestimenti musicali a cura di Davide Fasulo. Assistente alla regia Giulia Sangiorgio. Produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa. Foto © Masiar Pasquali / Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa.