giovedì, 24 Aprile, 2025
Esteri

Hamas tratta, ma Israele colpisce. Proposta: 5 anni di tregua in cambio di tutti gli ostaggi

Germania, Francia e Regno Unito: il blocco degli aiuti "deve cessare". Ben-Gvir: “bombardare i depositi di cibo”.

Mentre sul piano diplomatico si moltiplicano le proposte di tregua, la realtà sul campo resta fatta di bombardamenti, vittime civili e tensioni politiche sempre più insostenibili. Nelle ultime 24 ore, almeno 39 persone sono morte e più di 100 sono rimaste ferite nei raid israeliani sulla Striscia, secondo quanto riferito dal Ministero della Salute di Gaza. Uno dei raid più letali ha centrato una scuola adibita a rifugio a Gaza City: il bilancio, secondo fonti ospedaliere e l’agenzia Associated Press, è salito a 23 morti, molti dei quali bambini. A Khan Younis, una casa è stata distrutta nel sonno, sterminando un’intera famiglia, inclusa una bambina di due anni. Il campo profughi di Jabaliya, Nuseirat, Beit Hanoun: la mappa dei bombardamenti si allarga ogni giorno, con effetti devastanti su una popolazione civile già stremata. Secondo il comune di Jabaliya, anche infrastrutture civili e mezzi donati da organizzazioni internazionali e da Paesi mediatori – tra cui Egitto e Qatar – sono stati distrutti da attacchi israeliani. Bulldozer, autobotti, generatori mobili: strumenti pensati per la ricostruzione e l’assistenza, ora ridotti in rovine.

L’Occidente chiede lo sblocco degli aiuti

Intanto, dalla comunità internazionale arrivano segnali di impazienza. In una dichiarazione congiunta, Regno Unito, Germania e Francia hanno chiesto a Israele di permettere il passaggio senza ostacoli degli aiuti umanitari. “Gli aiuti non possono essere usati come arma politica”, hanno affermato i tre ministri degli Esteri, esortando le parti a tornare al cessate il fuoco e chiedendo ad Hamas il rilascio immediato degli ostaggi. Ma in parallelo, la retorica più aggressiva non si ferma. Il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, ha incontrato alti esponenti del Partito Repubblicano nella tenuta di Donald Trump a Mar-a-Lago, dove ha invocato bombardamenti sui depositi di aiuti umanitari gestiti da Hamas per “creare pressione e salvare gli ostaggi”.

Hamas: ostaggi in cambio di tregua

Mentre le bombe cadono, Hamas ha fatto trapelare una proposta di cessate il fuoco dalla portata significativa. Secondo quanto riportato dal quotidiano saudita Asharq Al-Awsat, Hamas sarebbe disposto a una tregua di cinque anni in cambio della liberazione di tutti gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza, accompagnata da un ritiro delle truppe israeliane, l’ingresso senza ostacoli degli aiuti umanitari e la creazione di un comitato tecnocratico per la gestione civile della Striscia. Non si tratterebbe di una resa: Hamas, che controlla Gaza dal 2007, si dice pronto a sospendere le attività militari, inclusa la costruzione di tunnel e la produzione di armi, ma non ha fatto menzione di una completa dismissione delle sue strutture. L’accordo aprirebbe anche la porta a un nuovo tentativo di riconciliazione con Fatah, la fazione rivale di Mahmoud Abbas.

Abbas: “Hamas ceda il potere”

E proprio il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, ha colto l’occasione per lanciare un appello diretto: Hamas deve deporre le armi e trasferire il controllo della Striscia di Gaza all’Autorità Palestinese. Parlando durante il Consiglio Centrale dell’OLP, Abbas ha sottolineato come il ritorno della legittimità palestinese a Gaza sia “condizione necessaria” per qualsiasi futuro processo di pace. Una richiesta che rievoca le ferite ancora aperte della breve guerra civile del 2007, quando Hamas prese il controllo della Striscia cacciando l’Autorità Palestinese con la forza. Oggi, a 89 anni, Abbas è sotto pressione per nominare un successore, ma il suo ruolo nella futura gestione di Gaza rimane incerto, così come l’effettiva volontà di Hamas di cedere il potere.

Israele diviso

Le divisioni, però, non si limitano al campo palestinese. In Israele, è scontro aperto tra il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich e il capo delle Forze di Difesa, Eyal Zamir, sulla gestione degli aiuti umanitari. Smotrich ha accusato l’esercito di non essere abbastanza duro e ha minacciato di “mandare qualcun altro” a occuparsi della questione, sostenendo che “è la politica a decidere le missioni militari”. Zamir ha risposto con fermezza: l’esercito non userà la fame come strumento bellico. Il primo ministro Benjamin Netanyahu, nel tentativo di riportare l’equilibrio, ha rimandato la discussione a una riunione successiva, ma il clima resta teso anche nelle stanze del governo.

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