In un contesto globale ancora dominato da incertezze persistenti, il 2025 si sta confermando come un anno di transizione difficile da decifrare. Il clima di instabilità, più che diradarsi, sembra moltiplicarsi. L’ultima turbolenza è arrivata dalla questione dazi commerciali, che ha inferto un nuovo colpo alla fiducia degli operatori, già messa a dura prova da anni di shock economici, geopolitici e inflattivi. L’Italia, in questo scenario, riesce a mantenere una crescita debole ma stabile. I dati congiunturali ufficiali mostrano come il primo trimestre dell’anno abbia registrato una variazione positiva del PIL dello 0,3% (corretta per effetti di calendario), con un aumento tendenziale pari allo 0,5%. Le stime per aprile indicano un ulteriore, seppur lieve, incremento (+0,1% congiunturale e +0,8% tendenziale), spingendo le previsioni complessive per il 2025 verso una crescita dello 0,8%.
Un risultato modesto, ma significativo, raggiunto grazie alla tenuta dell’occupazione, all’aumento dei redditi reali e a un’inflazione contenuta e sotto controllo. Tuttavia, questi presupposti virtuosi non bastano a stimolare in modo deciso la domanda interna, che resta il vero tallone d’Achille del sistema economico italiano.
Fiducia in calo
Secondo l’Indicatore Consumi Confcommercio, a marzo 2025 i consumi hanno registrato una diminuzione dello 0,7% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. A pesare sono stati anche fattori tecnici, come la diversa collocazione della Pasqua e la presenza di un anno bisestile, che hanno complicato la lettura dei dati e penalizzato alcuni comparti, in particolare alimentari e ristorazione. Se si guarda ai dati destagionalizzati, tuttavia, emerge un timido segnale di ripresa: +0,4% rispetto a febbraio, una variazione che si registra sia per i beni sia per i servizi. Non si tratta ancora di una vera inversione di tendenza, ma piuttosto di un tentativo di recupero dopo mesi di stagnazione.
La fiducia delle famiglie e delle imprese, infatti, risulta in calo già da marzo. In un clima dove dominano instabilità geopolitica, rincari selettivi e prospettive globali poco chiare, i cittadini preferiscono risparmiare o concentrarsi sulle spese legate al tempo libero, alla cultura e alla ricreazione, sacrificando i consumi più “strutturali”.
Cosa si compra e cosa no
L’analisi delle singole voci di spesa rivela un’Italia che si muove, viaggia e comunica, ma che acquista meno beni durevoli. Crescono infatti le spese per comunicazione (+9% su base annua), trasporti aerei (+4,7%), servizi ricreativi (+3,1%), alberghi (+0,8%).
In flessione, invece Alimentari, bevande e tabacchi (-2,7%), ricreazione (beni e servizi, -2,2%), casa (mobili, elettrodomestici, -1,2%), mobilità privata (-0,8%) abbigliamento e calzature (-0,7%), cura della persona -0,4%), automotive (-0,7%), con l’ottavo mese consecutivo di calo.
Questi dati confermano la difficoltà delle famiglie a trasformare l’aumento del potere d’acquisto – generato da salari reali più alti e inflazione sotto controllo – in consumi stabili e sostenuti.
Prezzi sotto controllo
Sul fronte inflazione, aprile dovrebbe chiudersi con una crescita dello 0,3% su base mensile, portando l’inflazione annua al 2,2%. Un dato in lieve risalita rispetto a marzo, ma che secondo Confcommercio potrebbe rappresentare il picco di questa fase moderata di rialzo dei prezzi. Le tensioni sui beni energetici sembrano essersi affievolite, e l’inflazione di fondo si mantiene intorno al 2%. Le previsioni indicano una progressiva stabilizzazione dei prezzi, che potrebbe aiutare a ripristinare la fiducia dei consumatori e favorire un miglioramento graduale della domanda interna.
Tutti i principali indicatori — redditi, occupazione, inflazione — suggeriscono che l’Italia ha le carte in regola per crescere. Eppure il sistema economico appare ingessato dalla mancanza di fiducia. L’instabilità del contesto globale e le repentine oscillazioni dei mercati finanziari impediscono a famiglie e imprese di guardare al futuro con serenità. Come ha sottolineato il Presidente di Assoturismo, Vittorio Messina, in un’altra analisi recente, «il rallentamento dei consumi è una conseguenza diretta dell’incertezza e del clima di attesa che frena le decisioni». Un atteggiamento che rischia di rendere vani gli sforzi messi in campo dalla politica monetaria e dai segnali positivi dell’economia reale.