L’Italia si muove in un quadro economico che somiglia sempre più a un campo minato. Secondo l’ultima analisi del Centro Studi di Confcommercio, il primo trimestre del 2025 si chiude con una crescita del PIL sì positiva, ma modesta e fragile, appesantita da molteplici fattori di incertezza. A frenare lo slancio sono soprattutto il rallentamento dei servizi, l’affanno dell’industria e, su scala globale, l’ondata di dazi introdotta dagli Stati Uniti che sta condizionando gli scambi commerciali internazionali. L’attività economica italiana, spiega il Csc, procede a velocità ridotta. Se da un lato l’industria mostra segnali di stabilizzazione dopo cinque trimestri in calo, dall’altro i servizi – motore della ripresa post-pandemica – stanno rallentando. Le vendite al dettaglio restano stagnanti, i consumi delle famiglie sono appesantiti dalla perdita di reddito reale (-0,6% nel quarto trimestre 2024), e la fiducia, sia dei consumatori sia delle imprese, è in flessione. I segnali positivi non mancano, ma sono isolati: l’occupazione è in crescita e l’energia costa meno, ma da sola non basta a invertire la rotta.
Il deterioramento del clima di fiducia è una delle variabili più preoccupanti per il 2025. Le imprese si mostrano caute: peggiorano i giudizi sulle condizioni per investire, soprattutto nei servizi e nelle costruzioni. Nell’industria, invece, la situazione appare stabile ma fragile. A pesare è anche l’aumento dell’incertezza sulla politica economica, alimentata dai continui annunci – e controannunci – sui dazi statunitensi, che rendono le scelte strategiche più difficili e rischiose.
Bene l’occupazione
Nonostante il contesto sfavorevole, il mercato del lavoro italiano offre qualche sorpresa positiva. Nei primi due mesi del 2025, l’occupazione è aumentata dell’1,0% rispetto al quarto trimestre 2024, con oltre 230mila unità in più. Continua anche la discesa del tasso di disoccupazione. Tuttavia, cresce anche il numero degli inattivi, un dato da leggere con cautela, che potrebbe segnalare un possibile esaurimento della spinta occupazionale registrata negli ultimi trimestri. Unico spiraglio positivo arriva dal fronte energetico. I prezzi del gas e dell’elettricità sono scesi in modo sensibile rispetto all’inizio dell’anno, sebbene restino superiori ai livelli pre-crisi. Il gas è passato da 50 a 37 €/mwh, l’elettricità da 150 a 108 €/mwh, mentre il petrolio è sceso sotto i 70 dollari al barile. Questo ha permesso all’inflazione di rallentare, dopo il picco di marzo (+2,0%), con la “core” già in calo all’1,5%. La BCE ha colto l’occasione per abbassare i tassi (ora al 2,25%), sostenendo il credito alle imprese, che già pagano interessi più bassi (3,99% a febbraio).
Il vero nodo critico è però la nuova ondata di dazi introdotti dagli Stati Uniti. Le tariffe, iniziate il 2 aprile e destinate a salire ulteriormente a maggio, colpiscono ampi segmenti dell’import americano, in particolare acciaio, alluminio, autoveicoli e componenti. Le barriere commerciali tra Washington e Pechino hanno raggiunto livelli mai visti (fino al 145%), e il rischio è che questa tensione si estenda a partner come l’Unione Europea. Il Csc stima che l’impatto diretto sul PIL italiano sarà pari a -0,3% nel biennio 2025-2026, con effetti evidenti sull’export (-1,2%) e sugli investimenti in macchinari (-0,4%). Un colpo che l’economia italiana può difficilmente permettersi, vista la fragilità della ripresa.
Una crisi commerciale globale?
La guerra commerciale innescata dagli Usa non è solo una questione bilaterale. Le conseguenze si avvertono su scala mondiale: l’incertezza globale è aumentata dell’80% rispetto al 2024, e il commercio internazionale sta rallentando in modo marcato. Le stime rivedono al ribasso la crescita degli scambi globali per il biennio 2025-2026, con una perdita secca tra i 2 e i 2,5 punti percentuali. Il rischio è che il disaccoppiamento tra Cina e Stati Uniti provochi una ricomposizione delle filiere globali più costosa e meno efficiente. Il settore manifatturiero è il più esposto a questi shock. Negli Usa è diretto oltre il 10% dell’export industriale italiano, in particolare nei settori farmaceutico, automotive e meccanico. Una stretta commerciale potrebbe avere effetti sistemici: secondo Confcommercio, le vendite italiane negli Usa attivano quasi il 7% della produzione manifatturiera nazionale. In assenza di accordi compensativi, il rischio è una crisi strutturale del comparto.
Anche i mercati finanziari risentono dell’instabilità. In aprile, gli indici hanno subito brusche correzioni: -6,2% lo S&P 500 e -8,8% il Ftse MIB italiano. La corsa all’oro (+21,7% nel 2025) e il calo del dollaro (-5,6% rispetto all’euro) confermano la fuga verso i beni rifugio e il timore per l’inflazione importata. Gli operatori aspettano chiarezza, ma nel frattempo il sentiment resta negativo.