Ieri a Bruxelles si sono riuniti trenta Paesi per definire il futuro della Coalizione dei volenterosi, una forza multinazionale pensata per garantire la sicurezza in Ucraina e nel continente europeo in vista di un possibile cessate il fuoco. Ma l’iniziativa, guidata da Gran Bretagna e Francia, si scontra con un ostacolo decisivo: la mancanza di un chiaro sostegno da parte degli Stati Uniti. Nonostante i tentativi europei di coinvolgere Washington, l’amministrazione Trump non ha ancora offerto alcun impegno concreto in termini di supporto aereo, intelligence o sorveglianza delle frontiere. Secondo fonti citate da Bloomberg, Londra e Parigi avrebbero tentato invano di ottenere almeno un supporto logistico dagli Stati Uniti, in alternativa alla presenza diretta di truppe. Ma Donald Trump, al momento, resta fermo nella sua posizione di non intervento diretto. Un punto critico, considerando che – come ha sottolineato una fonte diplomatica – “solo lui conta” nel processo decisionale americano. La distanza americana non si limita all’ambito militare. Gli Stati Uniti si sono ritirati dai lavori per la creazione di un Tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina, promosso dal Consiglio d’Europa e dal governo di Kiev. Saranno quindi gli Stati membri dell’organizzazione a portare avanti l’iniziativa, senza il supporto di Washington.
Regole d’ingaggio da definire
Ad ogni modo, durante la riunione ministeriale presso il quartier generale della NATO si è discusso delle regole d’ingaggio di questa possibile missione, con un ventaglio di opzioni ancora aperto: dall’assistenza tecnica fino alla presenza diretta di truppe, “scarponi sul terreno” compresi. Il nodo principale resta la risposta da dare a un’eventuale violazione della tregua da parte di Mosca. In altre parole: quanto è disposta a rischiare davvero la Coalizione se il conflitto dovesse riaccendersi? Un richiamo alla chiarezza è arrivato da Kaja Kallas, Alto rappresentante dell’Ue: “Serve una definizione chiara degli obiettivi. Una cosa è il peacekeeping, un’altra la deterrenza o il monitoraggio”. Solo dopo, ha aggiunto, si potrà tornare a parlare con gli Stati Uniti su basi più solide, anche se il ministro britannico John Healey ha voluto lanciare un messaggio forte: “Abbiamo piani seri. Siamo con il popolo ucraino nella lotta e lo saremo nella pace”.
Scambi tra Mosca e Washington
Sul fronte diplomatico, però, qualche segnale di apertura rimane. A Istanbul sono ripresi i colloqui tecnici tra delegazioni americana e russa per discutere il ripristino degli staff nelle sedi consolari, ridotti dopo le sanzioni reciproche. Intanto, ad Abu Dhabi, Mosca e Washington hanno effettuato uno scambio di prigionieri: la Russia ha rilasciato Ksenia Karelina, cittadina russo-americana condannata per aver donato denaro a un’organizzazione benefica ucraina, mentre gli Usa hanno liberato Arthur Petrov, arrestato a Cipro per presunte esportazioni illegali di microchip sensibili.
Zelensky: soldati cinesi al fronte
A rendere il quadro ancora più complesso, l’ultima accusa di Volodymyr Zelensky: secondo il presidente ucraino, almeno 155 cittadini cinesi starebbero combattendo nelle fila dell’esercito russo. “La Cina lo sa”, ha affermato, precisando che Kiev possiede documenti e passaporti che confermerebbero il reclutamento. Un documento dell’intelligence ucraina parla di 163 militari cinesi in servizio con unità russe. Zelensky ha annunciato anche la cattura di due di questi soldati nella regione di Donetsk. Pechino ha risposto con fermezza, bollando le accuse come “infondate” e invitando tutte le parti ad astenersi da “commenti irresponsabili”. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lin Jian, ha sottolineato che Pechino scoraggia attivamente la partecipazione dei propri cittadini a qualsiasi conflitto armato. Intanto, da parte russa arrivano dichiarazioni scioccanti. Secondo l’agenzia TASS, i servizi di sicurezza russi starebbero evacuando decine di migliaia di corpi di soldati ucraini dalla regione di Kursk. “Il regime di Kiev non ha fatto nulla per recuperarli”, affermano le fonti russe, accusando l’esercito ucraino di abbandonare i propri caduti.
Ricostruzione, l’Italia si prepara a luglio
Alla riunione dei volenterosi non ha preso parte il ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto. L’Italia ha scelto di farsi rappresentare da alti ufficiali, segnalando una partecipazione più tecnica che politica. Una scelta marcata in particolare sul fronte economico e umanitario, dove invece l’Italia si candida a giocare un ruolo da protagonista. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato che la conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina, in programma a Roma a luglio, vedrà la partecipazione di oltre 3.000 delegati da 90 Paesi. “L’Italia vuole che l’Ucraina entri a pieno titolo nell’Unione europea”, ha detto Tajani in un messaggio al Business Summit Ue-Ucraina. “Questo è anche un grande sforzo di modernizzazione e integrazione europea. Ma ora – ha aggiunto – tocca a Mosca dimostrare un impegno serio per la pace”.