CHI HA PAURA DEI DAZI DI TRUMP?
Sul tema delle politiche protezionistiche minacciate da Trump per affrontare un disavanzo commerciale Usa che supera i 3.000 miliardi di dollari l’anno e una posizione finanziaria netta negativa che ammonta a 22.000 miliardi di dollari, sulle conseguenze che potrebbe avere sui nostri mercati, ma anche su quanto fatto per tutelare il Made in Italy, abbiamo intervistato Luca Mancuso, presidente di FenImprese, la Federazione nazionale delle Imprese italiane.
Presidente come le imprese italiane – gli industriali, gli artigiani – stanno vivendo la politica dei dazi di Trump e cosa si potrebbe/dovrebbe fare in Italia e in Europa per non farci trovare impreparati?
In questo momento c’è grande preoccupazione: veniamo da anni difficili per la grande industria e per le aziende in generale. Gli imprenditori, oggi più che mai, chiedono alla politica di adottare soluzioni concrete che possano garantire maggiore stabilità, dopo un lungo periodo segnato da incertezze. Per questo, auspicano una collaborazione più efficace con il mondo politico, spesso percepito come distante dalle reali esigenze del settore produttivo.
In pratica quali azioni suggerireste da mettere subito in campo?
Gli imprenditori chiedono di adottare strategie mirate per sostenere i settori che stanno registrando buone performance e per agevolare la riconversione di quelle attività che, negli ultimi anni, hanno dimostrato difficoltà nel competere sul mercato globale. Un esempio emblematico è la crisi energetica, che ha messo in difficoltà le grandi industrie: in questi casi, è fondamentale incentivare la ricerca di nuove fonti di approvvigionamento energetico, come il nucleare. Sosteniamo l’avvio di una politica energetica nucleare, poiché riteniamo che sia una scelta necessaria per garantire la competitività della grande industria e della manifattura italiana, da sempre eccellenza a livello globale, ma oggi in seria difficoltà.
Il mercato italiano resta, comunque, uno dei più grandi in termini di esportazioni verso l’America, però qual è lo stato di salute generale del nostro Made in Italy?
Il Made in Italy ha ancora bisogno di regole più chiare e rigorose. Oggi, basta aggiungere un semplice bottone a una camicia per poterla etichettare come Made in Italy, un criterio troppo permissivo che rischia di sminuirne il valore. È fondamentale rafforzare e promuovere questa eccellenza, perché, per un Paese relativamente piccolo rispetto alle superpotenze economiche, il Made in Italy rappresenta un asset strategico per uno sviluppo duraturo e solido sul fronte dell’export. Nel mondo, il Made in Italy è sinonimo di qualità e tradizione: per questo, servono normative più stringenti per tutelarlo e un maggiore riconoscimento alle aziende che lavorano nel rispetto di questi standard.
Esiste, però, anche un altro pericolo, un’altra minaccia per il Made in Italy, che viene sempre e soprattutto dall’America, che sono i falsi, cioè i prodotti fake, il “Parmesan” per intenderci. È stato fatto abbastanza per tutelare l’autenticità dei nostri marchi?
Riteniamo necessarie leggi più severe per chi viola le normative, al fine di proteggere la nostra produzione e garantire l’eccellenza del Made in Italy. È essenziale rafforzare i controlli sia sulle merci in entrata che su quelle in uscita, tutelando così la qualità dei nostri prodotti. Allo stesso tempo, bisogna supportare gli imprenditori italiani, che da anni rappresentano nel mondo un simbolo di eccellenza e affidabilità.
Per concludere, nel 2025 una politica così protezionistica dei mercati interni ha ancora senso? A chi giova?
Sicuramente la situazione attuale non giova né a noi né all’Europa. È arrivato il momento che l’Unione Europea inizi a ragionare come un vero Stato federale, gli “Stati Uniti d’Europa”. In questi giorni si parla molto di riarmo, ma riteniamo che la priorità non debba essere la difesa militare, bensì la costruzione di una vera unione politica ed economica. Le politiche europee degli ultimi anni hanno indebolito il tessuto imprenditoriale italiano, a causa della mancanza di regole chiare e dell’assenza di una vera Banca Centrale Europea con poteri paragonabili a quelli della Federal Reserve.
Dobbiamo adottare un approccio più protezionista nei confronti di noi stessi, perché la nostra mancanza di coesione ci penalizza fortemente. Ci auguriamo, quindi, che l’Europa possa superare divisioni e interessi campanilistici per costruire una solida struttura economica e politica. Ad oggi, il nostro vero errore è non esserci ancora organizzati come un unico Stato europeo.
Quindi voi auspicate che il sogno di Spinelli, di De Gasperi e degli altri Padri dell’Unione Europea giunga a compimento, diventi un vero progetto politico a 360 gradi?
Sì, perché un’Europa disunita ha generato numerose difficoltà negli ultimi anni. La Germania, pur essendo una superpotenza economica, non è mai stata in una vera crisi, mentre Paesi come l’Italia e la Francia hanno affrontato sfide significative. L’Inghilterra, addirittura, ha scelto di lasciare l’Unione Europea. Tutto questo dimostra quanto sia urgente completare definitivamente il progetto di un’Europa unita. Solo attraverso una vera integrazione politica ed economica possiamo garantire un futuro solido per l’Italia e per tutti gli italiani.